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La sutilis navis del Lido di Venezia.

Nuova testimonianza dell'antica tecnica cantieristica a cucitura nell'alto Adriatico

di Carlo Beltrame

pubblicata su "Navalia Archeologia e storia " Progetto Archivio Mediterraneo del The International Propeller Club - Port of Savona - Savona 1996 - pp. 31-53

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The stretch of sea in front of the mouth of the port of Malamocco of Venice has given back several archaeological evidence of wreckage occured, between Roman age and the XVI century, in the attempt to enter the Venetial Lagoon.

In 1993, on the foreshore beach of the Alberoni of the Lido and down to the batymetry of -10 meters, werefound splinters spread of the hull of a wooden vessel. The cause of such a sudden finding and of the dispertion of the splinters is io be attributed or to the impact of the "turboblower" of a fishing boat or to the erosive phenomenon that has become typical of this stretch of coastline as a consequence to the construction of the outer breakwater. The flndings are composed by twentyfive remarkable pieces and various splinters of an ancient craft built with a "seam" tecnique.

Such a building tradition - supporting-hull - has precedents in the Greek age. In the whole Mediterranean, but various findings occured in the northern Adriatic, such as the recent one of Aquileia, shows that it was used also in the Roman age and later on.

The findings of the Alberoni have been dated by the method of C14 from the Ist to the half of the IInd century a.C.

The planking in elm has a medium thickness of 4.5 centimeters, while two planks, perhaps part of a binding-stake, have an exceptional thickness.

The longest stake is of 320 centimeters. The framefloors were flxed to the shell by wooden pins.

Such a discover contributes to theorize a way of conservatism in the ancient ship-yard tradition of the northern Adriatic, perhaps justified by the better suitability of the flat-bottomed crafts, i. e. those seamed to the internal navigation on these litoral shallow-waters.

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L'isola del Lido di Venezia con quella di Pellestrina formano il cordone litoraneo della laguna veneta e sono separate tra loro dalla bocca di porto di Malamocco (fig. 1).

La spiaggia meridionale del Lido, come in parte tutto il tratto litoraneo antistante Venezia, dall'età classica ad oggi ha avuto un'evoluzione subordinata agli interventi antropici, quali le trasformazioni indotte nel 1910 dall'edificazione della diga foranea.

Tale opera venne eseguita per mantenere sgombro il canale portuale la cui agibilità era complicata dalla presenza, poco al largo, di un'enorme scanno.

Questa evoluzione è stata, ed è tuttora, caratterizzata, all'estremità a ridosso del molo nord di Malamocco, da un fenomeno di ripascimento che ha creato l'ampia spiaggia degli Alberoni, mentre, nel tratto mediano dell'isola, da una costante erosione. Quest'ultima interessa anche i fondali antistanti manifestandosi con un'accentuazione delle pendenze fino alla batimetrica dei -10 metri. Oltre questo limite si ha un sensibile ripascimento.

La costa è esposta a tempeste di notevole entità ad opera dei venti di Bora e di Scirocco (Gatto, 1980).

 

 

Situazione storico-archeologica

In età romana, la bocca di porto di Malamocco doveva costituire la foce del fiume Brenta, via d'acqua per Patavium (Cacciaguerra, 1991:170-180; Dorigo, 1995: 139).

Strabone (V, 1, 7) menziona la presenza, in questo tratto del litorale, di un porto a mare chiamato Medòakos (Marchiori, 1990: 204-205 e bibl. cit.) ma fino ad oggi nessuna evidenza archeologica ha potuto confermare questa testimonianza.

Fonti archivistiche descrivono la manovra per stringere il porto come molto pericolosa per la presenza dell'ampio scanno e i resti del relitto "del vetro" ne sono la prova archeologica (Molino et alii, 1986; D'Agostino, 1990).

Numerosissimi ritrovamenti di frammenti di anfore, di ancore ed altri oggetti di età romana e bizantina, nonché i manufatti di epoca imperiale contaminanti il relitto "del vetro" (Beltrame, 1993; in stampa), testimoniano la pericolosità della manovra atta ad evitare la secca con forte vento di Scirocco.

Tutti questi reperti sono infatti concentrati nella zona in cui doveva trovarsi lo scanno e a nord della bocca portuale.

 

La scoperta

Il 9 gennaio 1993 venne rinvenuta sulla battigia della spiaggia degli Alberoni, m 100 a nord dell'inizio dei Murazzi (1), una tavola di fasciame di imbarcazione (n. 2) che, nella fretta del recupero, venne spezzata in due parti con l'abbandono di una sezione non più trovata (2) (fig. 1, A). Dal mese successivo fino al 21 gennaio 1994, continuarono i ritrovamenti di altre sezioni di tavole di fasciame ed un madiere per un totale di venticinque pezzi notevoli e vari frammenti. Tali reperti vennero alla luce in un tratto di mare più a sud, dalla battigia fino alla batimetria dei -10 metri (in linea d'aria con il faro) (fig. I, B).

Per spiegare l'improvvisa comparsa dei materiali e la loro apparentemente caotica dispersione, proponiamo due ipotesi. La prima è che essi appartengano ad un relitto naufragato poco al largo, che, intercettato dalla draga di una turbosoffiante, è stato smembrato e i suoi elementi dispersi (3).

La seconda ipotesi si riallaccia alla problematica dei processi costieri di questo tratto di costa.

Il fenomeno di erosione massiccia che interessa i fondali dalla linea di riva alla batimetrica dei -10 metri e che ha interessato il sito del relitto "del vetro" (Molino et alii, 1986: 181), potrebbe aver coinvolto anche il letto di giacitura del nostro relitto, successivamente smembratosi, o degli elementi già disorganizzati.

L'azione idrodinamica delle mareggiate invernali avrebbe poi spinto i reperti a profondità inferiori fino alla battigia.

Qualunque sia stata la dinamica dello scoprimento, il tipo di dispersione fa pensare alla presenza, poco al largo, di altre porzioni dello scafo.

 

I reperti

Gli elementi lignei di questa imbarcazione sono costituiti da ventiquattro sezioni di tavole di fasciame, una di madiere e vari frammenti minori di non chiara identificazione.

Il natante presenta tutte le caratteristiche della tecnica cantieristica del tipo a cucitura, sistema antico alternativo al più noto mortase e tenoni (4).

 

Catalogo:

1) Otto porzioni frammentate di due corsi di fasciame ricomponibili. Lungh. max cm 387; largh. max cm 65; alt. max. cm 5,5; alt. mm cm 4. Distanza media fori per legatura cm 8,5; distanza fori per collegamento ordinate da cm 74 a cm 50. Un lato minore obliquo per il raccordo con la ruota di prua o poppa.

2) Porzione di corso, forse di cinta. Lungh. max cm 188,5; largh. max cm 39,5; alt. max cm 8,7. Distanza media fori per legatura cm 9; distanze fori per collegamento ordinate cm 59 e 65. Durante il recupero la tavola è stata segata (proseguiva per circa cm 150). Sagomatura ad S per il raccordo con un'altra tavola.

3) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 187,5; largh. max cm 26; largh. mm. cm 19; alt. max cm 5,1. Distanza media fori per legatura cm 8; distanza fori per collegamento ordinate cm 63,5. Spezzata alle estremità. Tracce di pece sulla faccia esterna. La diminuzione della larghezza della tavola verso un'estremità indica che doveva essere posta in zona di prua o poppa.

 

4) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 106,5; largh. max cm 22,5; largh. mm cm 20,5; alt. max cm 4,4. Distanza media fori per legatura cm 9; distanza fori per collegamento ordinate cm 60. Presenza di uno spinotto orizzontale. Spezzata alle estremità.

5) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 143,5; largh. max cm 17,5; largh. mm cm 7; alt. max cm 5. Distanza media fori per legatura cm 9. Un foro per collegamento ordinata. Raccordo obliquo con un'altra tavola. Spezzata alle estremità.

6) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 45; largh. max cm 28; alt. max cm 5,5. Distanza media fori per legatura cm 9. Raccordo obliquo con un'altra tavola. Spezzata alle estremità e su un lato.

7) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 32,5; largh. max cm 14; alt. max cm 4,5. Distanza media fori per legatura cm 9. Spezzata alle estremità e su un lato.

8+9) Due porzioni di corso di fasciame. Lungh. max cm 64; largh. max cm 13; largh. mm cm 7,5; alt. max cm 4,5. Distanza media fori per legatura cm 9. Spezzate alle estremità e su un lato.

10) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 125; largh. max cm 14; largh. mm cm 9; alt. max cm 4. Distanza media fori per legatura cm 9; distanza tra due fori per collegamento ordinata cm 29. Spezzata alle estremità. Su un lato è presente una riparazione antica a cucitura. Tracce di pece sulla faccia interna.

11) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 147,5; largh. max cm 19; largh. mm. cm 12,5; alt. max cm 5,5. Distanza media fori per legatura cm 9; distanza fori per collegamento ordinate cm 65. Spezzata alle estremità e su un lato dove forse era presente una riparazione.

12) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 106; largh. max cm 45; alt. max cm 7. Distanza media fori per legatura cm 9. Più fori per collegamento ordinate a varie distanze. Raccordo obliquo con un'altra tavola. Spezzata alle estremità e su un lato.

 

13+14) Due porzioni frammentate di corso di fasciame. Lungh. max cm 239; largh. max cm 35,5; alt. max cm 4,8. Distanza media fori per legatura cm 9; distanze tra i fori per collegamento ordinate cm 29 e 62,5. Riparazione per legatura lungo la linea di rottura tra le due porzioni e presenza in situ del cordolo di calafatura. Sulla faccia interna sono presenti impronte quadrangolari forse di puntelli. Spezzate alle estremità.

15) Porzione di madiere. Lungh. max cm 123; largh. max cm 6,8; alt. max cm 14,8. Coppie di fori per collegamento fasciame, un foro di biscia e due cavità ad arco.

16) Porzione di corso di fasciame. Lungh. max cm 45,5; largh. max cm 20,5; alt. max cm 9,9. Distanza fori per legatura cm lì ,5. Spezzata alle estremità e su un lato.

17) Frammento non identificato con fori per legatura, forse margine di tavola spezzato. Lungh. max cm 46; largh. max cm 8,3; alt. max cm 8,5. Distanza media fori cm 10.

18) Estremità di baglio (?). Sezione quadrata di cm 8,5 x 8,5. Spezzata.

 

Descrizione

Il metodo costruttivo "a cucitura" era a scafo portante e consisteva nell'unione delle tavole di fasciame per mezzo di corde fatte passare attraverso dei fori e bloccate con spinotti lignei.

Un rotolo di materiale calafatante, tenuto in situ dalle cimette, veniva posto lungo le linee di giunzione interne. Il guscio, munito generalmente di chiglia di dimensioni molto contenute o a fondo piatto, era rinforzato con delle ordinate assemblate tramite cavicchi o legature.

Tale tecnica cantieristica fu conosciuta nel Mediterraneo (5) almeno dal 2600 a.C. (nave di Cheope, Landstrom, 1970) e nell 'Iliade (II, 135) Omero fa riferimento a questo sistema quando parla della flotta degli Achei.

Recentemente sono stati scoperti in Spagna due relitti punici del VII sec. a.C. (650-625 a.C.) nei quali è presente un sistema a cucitura per collegare le ordinate al guscio e per riparazioni (Negueruela et alii, 1995: 195-197; Negueruela, in stampa) ma la documentazione si fa abbondante in età arcaica durante la quale la tecnica è utilizzata: o per unire il fasciame di tutto lo scafo: Giglio, inizio VI a.C. (Bound, 1985), Marsiglia 1, VI sec. a.C. (Pomey, in stampa), Bon Porté, 530-525 a.C. (Pomey, 1981), Gela, fine VI-inizi V sec. a.C. (Freschi, 1991); o per unire solo il fasciame presso prua e poppa: Marsiglia (6), VI sec. a.C. (Pomey, in stampa), Ma'agan Micha'el, fine V a.C. (Linder, 1992).

Alla fine del III sec. a.C. circa risale il relitto di Ljubljana (Salemke, 1973; Eric, 1994), a scafo cucito.

Nel mondo romano, tale tecnica sembra rimanere in uso solamente per riparazioni - cfr. Jeaune-Garde B, 200-165 a.C. (Carrazé, 1977) -, per il fissaggio delle ordinate al fasciame - cfr. Cap Bear C, 50-25 a.C. (Liou, Pomey, 1985: 547-551) -; per sovrastrutture - cfr. Punic Ship, 250-175 a.C. (Frost, 1981: 260-262) e Cavalière, 100 a.C. (Charlin et alii, 1978).

Il Bonino ha evidenziato che tale sistema si è conservato nell'area del delta del Po per la costruzione di tutto lo scafo - come sul relitto di Cervia del IV/VI sec. d.C. (Bonino, 1967) - o solo per l'opera viva - come sulla nave di Valle Ponti, dell'ultimo quarto del I sec. a.C. (Berti, a cura di, 1990) - in età romana e almeno fino all'XI secolo (relitto di Pomposa: Bonino, 1967).

Tale teoria è stata successivamente corroborata dai ritrovamenti delle due imbarcazioni di Nin (Croazia), forse del I sec. d.C. (Brusic, Domjan, 1985) e di altre imbarcazioni di cui sono state pubblicate solo vaghe e scarse notizie.

Ci riferiamo ai due corsi di fasciame trovati nel Canale Anfora di Aquileia (Bertacchi, 1990: 242-243); a due barche a fondo piatto rinvenute nel sito di una villa romana, nel comune di Loreo (Rovigo) (Sanesi Mastrocinque, 1986; Toniolo, 1986: 30), datate rispettivamente al I-III/IV e al I sec., e a varie segnala-zioni sempre dal delta padano o dal fiume Stella (Friuli) (Uggeri, 1990:193) (7).

Il Bonino inoltre ha riconosciuto tracce moderne di questa tecnica nella tradizione cantieristica del Piemonte e della Valle del Po (Bonino, 1985).

Il fasciame della nostra imbarcazione è interamente di olmo (8). Esso presenta fori, del diametro di cm 1,6/2,8, praticati diagonalmente lungo il margine delle assi (fig. 2). Questi cadono internamente ad una distanza media di cm 9 tra i loro centri.

A ciascun foro, di forma leggermente ovale, corrisponde all'esterno, sempre sul bordo, una cavità trapezoidale che ricorda molto quella del relitto di Valle Ponti (Berti, 1990, fig. 3). I fori sono chiusi da spinotti di tiglio che imprigionano resti dell'originaria corda di legatura.

Lo spessore delle assi è mediamente di cm 4,5, misura normale per uno scafo cucito post-classico. Alle estremità alcune di esse sono tagliate obliquamente per permettere il raccordo con altre tavole. E' facilmente visibile come tutti i corsi siano stati segati nella lunghezza in maniera poco regolare per adattarsi l'uno con l'altro.

Le assi di fasciame presentano fori con cavicchi (ancora presenti) per il collegamento delle ordinate. Essi hanno una distanza media tra loro di circa cm 65, o molto meno, e a volte sono in coppia. La loro individuazione è complicata dalle condizioni di imbibimento del legno (9).

Le tavole hanno tracce di pece sia internamente che esternamente come sui relitti di Cervia (Bonino, 1971: 324) e Valle Ponti (inf. M. Bonino). Due di esse sono state riparate in una loro fenditura con la tecnica a cucitura e cordolo di calafatura, conservatosi.

L'unico madiere ritrovato, in legno di quercia caducifoglie (Quercus sez. robur), è mutilo. Esso presenta due coppie di fori per l'inserzione dei cavicchi di collegamento con il fasciame, due cavità ad arco per permettere la sovrapposizione sui cordoli di cucitura delle assi senza che questi ne ricevano danno e un foro di biscia triangolare.

La presenza di quest'ultimo indica che tale sezione di madiere doveva essere localizzata in prossimità della chiglia.

Nel pezzo n. 18, potrebbe essere riconoscibile un'estremità di un baglio per il ponte.

Le corde sono di tipo ritorto come sul relitto Nin 1 (Brusic, Domjan, 1985: 76) e sono composte da otto 'legnuoli' ritorti a loro volta costituiti da coppie di 'filati' attorcigliati.

Gli spinotti hanno una forma rastremata terminante "a becco di flauto" e presentano segni sulla faccia rivolta verso la corda, forse di sgorbiatura (fig. 2).

I frammenti di quest'imbarcazione presentano molti problemi interpretativi. Le caratteristiche più anomale sono l'estrema varietà nelle larghezze dei corsi di fasciame e i notevoli spessori di due di essi.

Alla prima particolarità non sappiamo dare una risposta soddisfacente mentre gli eccezionali spessori di due assi (cm 7 e cm 9 di media) fanno supporre che, almeno la seconda, dovesse costituire parte di una cinta, unico elemento per il quale potesse essere richiesta una tale robustezza. Unica alternativa a questa soluzione è che esse costituissero i corsi centrali di una nave a fondo piatto, priva di vera chiglia.

I resti a disposizione compongono un'imbarcazione dalle caratteristiche molto simili a quella di Valle Ponti. La somiglianza tecnica più evidente è nel sistema di cucitura del fasciame che avveniva attraverso l'accostamento delle cavità a forma trapezoidale dalle quali uscivano le corde.

Nelle altre barche infatti queste uscivano da semplici fori. E' interessante inoltre l'identico criterio dei maestri d'ascia nella scelta delle essenze dei legni: in particolare, entrambi preferirono l'olmo per il fasciame (10), la quercia caducifoglie per i madieri e il tiglio per i cavicchi di bloccaggio delle corde.

Pensiamo che quest'ultima scelta, ritenuta dal Castelletti (Castelletti et alii, 1990 a) inconsueta, "essendo il tiglio legno di scarsa durabilità e robustezza", sia stata motivata dalla poca compattezza e quindi dalla sua proprietà, una volta imbibito, di espandersi imprigionando meglio le cimette e impedendo con più efficacia infiltrazioni d'acqua.

Una piccola differenza della nave di Valle Ponti con quella del Lido èdata dall'utilizzo nella prima di corde di tipo trecciato e non ritorto per la "cucitura" delle tavole di fasciame (Castelletti et alii, 1990 b: 154-155).

I confronti con le altre imbarcazioni cucite dell'alto Adriatico, poco agevoli per la scarsezza di dati a disposizione da letteratura, mostrano elementi di similarità con gli scafi di Cervia e Pomposa nell'utilizzo della quercia per i madieri (Bonino, 1971: 322-323; inf. pers.). Il sistema di unione delle ordinate allo scafo per mezzo di cavicchi, proprio del relitto del Lido trova confronti diretti con i relitti di Ljubljana (Salemke, 1973), Cervia, Pomposa (M. Bonino, inf. pers.) e Nin I (Brusic, Domjan, 1985) piuttosto che con la nave di Valle Ponti in cui esso era completato da una legatura (Berti, 1990: 29-32),.

Il sistema di cucitura di età romana è diverso da quello di epoca greca.

Limitandoci a formulare osservazioni di carattere generico, anche se tale confronto meriterebbe certo un approfondimento facciamo notare come le tavole di fasciame dei relitti greci abbiano sulla faccia interna delle cavità a tetraedo da cui spuntano le corde mentre nelle assi romane esse escono da fori circolari.

Inoltre, la costruzione più recente non prevede mai il rafforzamento della cucitura con spinotti colleganti i bordi del fasciame e solo nel caso di Valle Ponti abbiamo il collegamento dei madieri al guscio tramite legature come poteva avvenire nella costruzione greca.

Questa, per di più, non conosceva le cavità trapezoidali sui bordi del fasciame proprie di alcune navi romane.

 

 

Conclusioni

Le analisi al radiocarbonio hanno permesso di precisare quella collocazione cronologica, genericamente in età romana, che le strette analogie dei resti dell'imbarcazione del Lido di Venezia con il relitto di Valle Ponti suggerivano.

I risultati - in seguito a calibrazione - hanno fornito, infatti, una datazione tra il I e la metà del Il secolo d.C. (1935+-80 BP, ls 1-144 d.C.) (11) dato questo che però si riferisce al momento dell'abbattimento dell'albero di cui il campione analizzato faceva parte e non all'anno di costruzione né tantomeno del naufragio.

Oltre al tempo di stagionatura va tenuto conto che le riparazioni suggeriscono per l'imbarcazione un lungo periodo di attività.

Tale ritrovamento, insieme agli altri segnalati negli ultimi anni, contribuisce quindi ad avvalorare la teoria di una persistenza nella tradizione cantieristica di età romana e nord adriatica - o forse, più estensivamente, anche dalmata - dell'antico metodo a cucitura.

Ricordiamo che "Varrone (come riporta Aulo Gellio, XVII, 3, 4) e Verrio Flacco (come contenuto in Festo, 508, 24) fanno riferimento ad una forte tradizione di barche cucite tra le popolazioni istriane e liburne" (Pomey, 1985: 41).

Evidentemente siamo di fronte ad un comportamento conservativo nei confronti di una tecnica fortemente radicata nell'Adriatico.

Ma una motivazione, per ora ancora insoddisfacente, dell'originaria nascita di questa tradizione e del suo mantenimento viene forse dalla miglior idoneità delle imbarcazioni costruite con tale sistema, a fondo piatto o quasi, alla navigazione tra i numerosi scanni e le acque interne che dovevano caratterizzare l'alto Adriatico nell'antichità.

Ed è proprio nel tentativo di penetrare in una di queste vie d'acqua continentali che la nostra l'imbarcazione naufragò offrendo un'altra prova sulla frequentazione dell'imboccatura di Malamocco in età antica.

 

Ringraziamenti

Ringraziamo il dott. Luigi Fozzati della Soprintendenza Archeologica per il Veneto per aver permesso la pubblicazione dei reperti e dei risultati delle analisi di laboratorio. Un ringraziamento va inoltre al club subacqueo San Marco di Venezia per la disponibiltà dimostrata nel corso dello studio dei materiali da loro recuperati e conservati. Infine, sono riconoscente con il dott. Marco Bonino per le comunicazioni personali e con la dott.ssa Giulia Boetto per l'aiuto nella documentazione e la preparazione dei disegni per la stampa.

 

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Transportschiffes. Schiffsarchaeologie von 1890 aus Laibach, Osterreich (jetzt Ljubljana in Jugoslavien), Das Logbuch, 9. 1: 21-24.

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Toniolo, A., 1986, L'insediamento romano di Corte Cavanella di Loreo, Quaderni di Archeologia del Veneto, 2: 25-30.

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Note

(1) I Murazzi sono delle difese a mare messe in opera lungo i lidi del litorale già dalla Repubblica Veneta.

(2) Il ritrovamento e salvataggio di questo reperto e dei successivi si deve a Giuliano Mognato, presidente del club subacqueo San Marco di Venezia ed esperto di archeologia navale, ed ai membri della Sezione Archeologica.

(3) La turbosoffiante è un'attrezzatura da pesca, tipica del litorale nord-adriatico, costituita da una cesta metallica trainata da un peschereccio che, per mezzo di un getto d'acqua a pressione, la fa affondare nel fango per più di cm 30. L'impatto di tale attrezzo, dal peso di kg 350, su un relitto ligneo avrebbe ovviamente esiti devastanti.

(4) Per un'esauriente descrizione di questo secondo sistema cfr. Gianfrotta, Pomey 1981: 236-266.

(5) Tralasciamo volontariamente le testimonianze presenti nell'Europa Centrale.

(6) Qui la tecnica è utilizzata anche per riparazioni.

(7) In corso di verifica è la notizia del rinvenimento di "frammenti di imbarcazioni a fasciame legato" in Laguna di Venezia datati col C14 al V sec. a.C. (Canal, 1995: 199).

(8) Le analisi delle essenze, eseguite dal laboratorio Dendrodata di Verona per conto della Soprintendenza Archeologica per il Veneto, sono state compiute su tutti i frammenti dello scafo.

(9) E' possibile che, successivamente al trattamento conservativo del legno, altri fori possano risultare leggibili. Per questo motivo, nei disegni allegati al testo, i fori per le ordinate sono stati disegnati solo sulle facce dei corsi dove erano visibili.

(10) Testimonianza dell'utilizzo del legno di olmo per il fasciame si ha anche per i relitti di Madrague de Giens (Couvert, 1978: 109-111) e Mahdia (Gianfrotta, Pomey, 1981: 270).

(11) Le analisi sono state eseguite dal laboratorio Dendrodata per conto della Soprintendenza Archeologica per il Veneto.

 

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