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Relitto di Ulbo

di Nigel Pickford

pubblicato su "Atlante dei tesori sommersi"1995 - pp. 31-33, 143, 177
parzialmente rielaborato

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a pag 31 - Il relitto dell'isola di Ulbo (5)

Scheda n.5 a pag. 31

Mercantile veneziano affondato nel 1417 al largo della costa dalmata mentre navigava di notte in acque pericolose (pag.32-33)

 

Scheda n. 27 a pag 177

Relitto di Ulbo - dicembre 1417

nave: Galea veneziana

Luogo: Isola di Ulbo (Croazia)

Rotta: Da Alessandria d'Egitto a Venezia

Carico: Porcellane, perle, pietre preziose, spezie e tipiche merci mediorientali

(si veda pag. 32-33)

 

La localizzazione non risulta compatibile con quanto indicato a pag. 143 vedi foto sotto riportate. Sembra che a pag 31 il relitto di Ulbo non sia stato riportato, ma che gli sia stato assegnato il n. 5 che apparteneva ad un altro relitto.

identificazione del relitto riportata a pag 31
identificazione del relitto (n. 27) riportata a pag 143 con scheda a pag 177

a pag 32-33 , invece, si legge: .........

"Nel dicembre 1417 Nicolò Barbarigo, ammiraglio di una flotta di grandi galee mercantili, stava tornando a Venezia da Alessandria d'Egitto quando una delle sue navi fece naufragio.

È probabile che Barbarigo stesse forzando l'andatura poiché voleva giungere in tempo alla fiera di Natale, una buona opportunità per vendere il prezioso carico di spezie, gemme e porcellane che aveva a bordo.

Come tutte le galee veneziane, anche quelle della sua flotta erano di proprietà della Repubblica di Venezia, che le costruiva e le noleggiava ai singoli mercanti. Questi ultimi a loro volta subaffittavano parte dello spazio disponibile ai colleghi con minori risorse finanziarie.

I rematori
Le galee veneziane, la cui origine risale probabilmente alla fine del IX secolo, non dovevano affidarsi interamente alla forza del vento; per le manovre in porto, o per allontanarsi dalla costa quando c'era bonaccia, impiegavano i remi.

Sulle prime galee i rematori erano quasi sempre dei normali salariati della città.

Ma ai tempi di Barbarigo le cose stavano cominciando a prendere una piega diversa: Venezia soffriva di una cronica carenza di manodopera, in parte dovuta alla peste, in parte alle recenti guerre con Genova, per cui si rese necessario ricorrere sempre più spesso a lavoratori forestieri.

La navigazione a remi richiedeva un enorme dispendio di forze, e su una galea veneziana ci volevano almeno 200 uomini. Di solito i rematori lavoravano divisi in tre turni, con due uomini (sulle biremi) o tre uomini (sulle triremi) seduti accanto per ogni remo.

Le rotte
Le galee veneziane salpavano alla volta di Alessandria, Acco e Costantinopoli per collegarsi con le rotte per l'Oriente.

Data la velocità, venivano usate per carichi di elevato valore, anche se potevano trasportare solo una tonnellata per ogni uomo d'equipaggio.

Nel viaggio di andata i mercanti veneziani partivano carichi di monete d'oro e d'argento e di lingotti del metallo prezioso per comprare le merci orientali. Esportavano anche oggetti di vetro e di metallo, gioielli, stoffe di seta e di lana, specchi e sapone.

Al ritorno caricavano la nave di spezie, frutta secca, stoffe di cotone, cera, indaco, perle, gemme e porcellane. Gran parte dei prodotti veniva poi commerciata in tutta Europa.

Le condizioni di vita a bordo
Gran parte dell'equipaggio viveva, mangiava e dormiva sul ponte, accanto ai banchi dei rematori.

A poppa c'era una parte sopraelevata suddivisa in più piani.

Nel piano inferiore erano stivati i preziosi e le munizioni; in quello di mezzo si celebrava la messa e dormivano gli ufficiali e i passeggeri più importanti; nel piano superiore c'erano gli alloggi del capitano e la bussola. Dietro questa zona erano sistemati i comandi del timone.

La cucina era sul ponte, davanti al castello di poppa.

Notte tragica
È probabile che avvicinandosi alla costa italiana la flotta di Barbarigo si fosse accorta di essere in ritardo.

Al momento dell'incidente era notte e stava navigando in uno dei tratti più pericolosi dell'Adriatico, cosa severamente vietata. Una delle galee finì contro gli scogli davanti a Ulbo, un'isola vicino alla costa dalmata, e affondò.

Nicolò Barbarigo non si fermò per prestare soccorso e si rifugiò con il resto della flotta nel porto più vicino.

Probabilmente prese questa decisione non perché avesse il cuore duro, ma perché costretto dalle avverse condizioni atmosferiche e dalla pericolosità delle correnti.

Tuttavia, le autorità marittime veneziane lo ritennero responsabile, perché Barbarigo fu processato, giudicato colpevole e condannato a una multa di IO 000 ducati, una somma considerevole.

Le imbarcazioni
La supremazia marittima di Venezia si reggeva su due diversi tipi di nave: le galee e i mercantili a scafo arrotondato.

Questi ultimi andavano solo a vela ed erano pertanto molto più lenti delle galee, ma avevano una capienza maggiore e un equipaggio meno numeroso (60-80 uomini). Venivano usati per il trasporto di merci sfuse, come il grano delle Puglie e della Sicilia, il sale di Cipro, la soda e l'allume di rocca della Siria.

Per ogni uomo d'equipaggio queste navi potevano portare cinque tonnellate di merci.

In genere stazzavano circa 200 tonnellate, avevano vele quadre e un timone attaccato al dritto di poppa. Le più grandi arrivavano a 500 tonnellate di stazza e avevano fino a 20 ancore."

 

vedi anche articolo: L'oro e le gemme dei veneziani - il relitto dell'isola di Ulbo (da "Immersione rapida M.A.R.E" mar-apr 2002)

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