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Prospettive sinergetiche fra archeologia di superficie e archeologia subacquea

nella lettura del territorio

di Armando De Guio, Luigi Fozzati, Antonio Rosso

atti del Workshop "Ricerca archeologica di superficie in area padana" 1994 pp.167-174 - Villadose RO

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1. INTRODUZIONE.

Oggetto di questa comunicazione è l'individuazione preliminare di alcune linee-guida di integrazione di due domini di indagine: l'archeologia subacquea e l'archeologia di superficie, al fine di elaborare strategie innovative di ricerca sul territorio.

La proiezione fugace di un caso di studio applicativo, relativo ad un progetto-pilota appena iniziato, vale poi ad illustrare concretamente gli esiti comportamentali sul campo di una tale strategia e a suggerirne rilevanti prospettive di sviluppo a breve termine.

 

2. UNO SCENARIO EVOLUTIVO: VERSO UNA "ARCHEOLOGIA DELLE RANE"

L'archeologia fluviale è il settore di maggiore urgenza nell'ambito di tutta l'archeologia subacquea.

Il complesso delle esperienze internazionali dimostrano ampiamente come le caratteristiche geomorfologiche dei corsi d'acqua unite al fattore dei fluidità del corpo acqueo da un lato determinino la scoperta a riscoperta di un sito archeologico, dall'altro ne causino necessariamente l'impoverimento e spesso l'esaurimento.

Benché l'archeologia fluviale abbia la possibilità di utilizzare importanti banche dati rappresentate sia dagli studi geomorfologici e geologici sia dalle fonti archivistiche, permane tuttora il settore d'intervento dell'archeologia subacquea meno sviluppato.

Il processo di conservazione dalla preistoria all'attualità delle testimonianze del passato dell'uomo all'interno del paesaggio fluviale è strettamente legato alle condizioni di umidità presenti: ciò è oggi di particolare importanza per le conseguenze del sempre maggiore fenomeno di antropizzazione del paesaggio, dove i contenuti dell'archeologia fluviale vengono di norma disconosciuti.

 

L'archeologia subacquea del veneto presenta un arco completo delle varie situazioni ambientali di applicazione: mare, lagune, laghi e fiumi.

La Soprintendenza Archeologica del Veneto in collaborazione con il Servizio Tecnico per l'Archeologia Subacquea ha avviato a partire dal 1989 una prima serie di prospezioni e campagne subacquee fluviali su due corsi d'acqua: l'Adige ed il Bacchiglione.

Per entrambi si è trattato di un programma sperimentale finalizzato all'acquisizione di dati metodologici: l'Adige ha fornito gli elementi strategici per studio e recupero di materiale ceramico di epoca storica nel tratto urbano di Legnago; il Bacchiglione ha sollevato questioni già note ma non risolte circa la provenienza di abbondanti materiali di epoche differenti, sottratti al deposito originale dall'azione erosiva del corso d'acqua a livello spondale.

L'attuale studio in corso sull'Adige che qui si presenta completa il panorama delle tematiche di ricerca e tutela del bene storico-archeologico sommerso in fiume.

Il caso affrontato è quantomai di attualità: troppo spesso questi "segni della storia dell'uomo sono interpretati come segni di scarso o nullo interesse scientifico.

I cantieri già attivati su corsi d'acqua dell'Italia del nord, invece, dimostrano il contrario: così è per la Dora Baltea a Ivrea (TO), il Tanaro ad Alessandria, la Sesia a Vercelli, il Brenta nel tratto montano.

 

Archeologia subacquea e archeologia di superficie, uscite, dunque, da tempo dalla fase pioniera, stanno ora consolidando uno stato "normale" (in senso Kuhniano) di maturità (o meglio di protratta adolescenza), in dinamica evoluzione adattiva-migliorativa rispetto ad un mercato globale delle idee e delle risorse (hardware/software) a flusso continuo e a costi di accesso decrescenti.

 

Lo sviluppo dei due comparti (archeologia subacquea e archeologia di superficie) si produce, però, in condizioni di scarsa comunicabilità e crescente compartimentalizzazione.

Indirizzare ora una piattaforma di convergenza fra archeologia subacquea e l'archeologia di superficie significa, in effetti , eradicare innanzitutto l'inerzia concettuale di una prassi operativa che, al di là di isolati enunciati programmatici di facciata, vede nei fatti uno sviluppo sostanzialmente divaricato, autonomo e scorrelato delle due discipline su un pacchetto critico di diversi piani di rilevanza : strutture di riferimento, orientamenti problematici, assunti teoretici, strumentazione concettuale, metodologica e tecnica, tipologia e management delle risorse umane.

L'etichetta "ARCHEOLOGIA DELLE RANE" può servirci ora a connotare efficacemente uno scenario ancora in parte futuribile ma certamente alla nostra portata, in cui archeologi superficiali e subacquei imparino seriamente a lavorare assieme, elaborando un'ambiziosa e robusta "cultura anfibia": teorie di campo, expertises, know-how, procedure dei due comparti devono coagularsi in una preziosa e innovativa sintesi, in un vocabolario concettuale comune, in un gergo di rilevanza, cioè, capace di applicarsi efficacemente, senza chiusure compartimentali, a tutti i gradienti di formazione ed emergenza del record archeologico nei più diversi contesti, dalle profondità marine, lacustri e fluviali alle superfici agrarie.

 

3. "WETLAND REVOLUTION"

Un altra etichetta "WETLAND REVOLUTION" (rivoluzione degli ambienti umidi) fornisce un'altra utile icona-guida di copertura del nostro specifico piano di integrazione disciplinare: è il titolo di una conferenza tenuta nel 1991 dal WARP (Wetland Archaeology Research Project) e dalla Prehistoric Society a Exeter (G.B.) in cui lo straordinario impatto della crescita cumulativa di conoscenze derivate da ricerche in ambienti umidi e subacquei, è assunto, finalmente a scala di archeologia planetaria, quale premessa per un salto di qualità nell'organizzazione globale della disciplina, all'insegna, appunto di un'integrazione virtuosa di cui proprio l'archeologia subacquea e quella di superficie rappresentano due cardini essenziali.

Le terre umide "wetlands" rappresentano, in effetti un terreno ottimale di incontro operativo, una fascia ecotonale, nella cui escursione (dal sommerso al secco), le due culture possono più efficacemente sviluppare gli "argomenti ponte" ("bride arguments") di un "linguaggio delle rane", ossia , fuori metafora, di uno comune "vocabolario tematico della complessità".

Le modalità ottimali di questo scenario di integrazione sono ancora tutte da definire: al di là, però, di chilometriche elencazioni di saperi specialistici necessari (dalla biologia, all'idraulica, alla dendrocronologia, alla geografia storica o cognitiva ...), di modelli di pianificazione progettuale e amministrazione delle risorse eco-culturali ed umane, bisogna prima realizzare delle più elementari condizioni pregiudiziali che costituiscono l'humus dell'integrazione: è necessario, molto semplicemente, cominciare a lavorare assieme, archeologi di superficie e subacquei, fin dalla fase iniziale di impostazione del progetto, dove strutture di riferimento e orientamenti problematici devono confrontarsi in un circuito retroattivo positivamente de-stabilizzante teso alla realizzazione di un meta-obiettivo: la definizione di strategie di ricerca a minima spesa energetica, capaci di proiettare su targets ben mirati tutta l'expertise predittiva e lo strumentario applicativo (hard e soft) delle due discipline.

 

4.1 IL CASO DI STUDIO

Il caso di studio in oggetto è mirato all'attraversamento da parte di una strada romana dio un ambito territoriale corrispondente ad un tratto di Pianura padana orientale corrispondente ad una porzione centrale delle Valli Grandi Veronesi (Comuni Legnago, di Villabartolomea e Castagnaro -VR) e ad un margine di Alto-Polesine ai confini settentrionale del comune di Castelnovo Bariano - RO.

 

4.2 SELEZIONE AREALE.

La selezione di questo areale risponde ad una serie distinta di motivazioni:

a) il territorio in oggetto corrisponde al cuore operativo di un progetto pilota internazionale di archeologia di superficie denominato "Progetto Alto-Medio Polesine- Basso Veronese" che vanta già un decennio di ricerche sul campo;

b) l'acquisizione cumulativa di conoscenze prodotte dal progetto succitato, da altre ricerche recenti o in corso e da una copiosissima storia della ricerca pregressa vale a proiettare sull'areale uno straordinariamente fitto reticolo di acquisizioni e attese predittive;

c) l'area presenta un range sperimentale estremamente vasto di unità idrografiche ed idrauliche:

- fiumi attivi (dall'Adige al Tartaro fiume di risorgiva e collettore storico principale di drenaggio delle Valli Grandi) con vari processi di adattamento infrastrutturale di origine antropica (argini, e strade arginate, sbarramenti, attraversamenti, canalizzazioni...);

- una intricata rete di paleoalvei e paleodossi fossili o residuali-senescenti parte dei quali già soggetti a processi riattivazione pluriciclica di medio lungo termine e anch'essi estensivamente interessati da infrastrutture antropiche di varia epoca ;

- arterie e manufatti idraulici interamente antropogenici, dal tessuto di canali, strade-canali e canalette che stiamo adesso scoprendo nel paesaggio agrario dell'età del Bronzo, alla diverse centuriazioni romane, alla bonifica seicentesca (Bentivoglio) dell'Alto Polesine e ottocentesche della Bassa Veronese, ereditato e modificato in parte dal capillare reticolo di drenaggio attualmente funzionante.

d) la ricchezza delle relazioni spaziali fra le diverse tipologie idrografiche suindicate (coincidenza, intersezione, contenimento, mutua esclusione...) che offre notevoli opportunità per analisi e inferenze funzionali rilevanti per la ricerca (cfr. più oltre) ;

 

4.3 SELEZIONE TEMATICA.

Il tematismo stradale risponde anch'esso ad una pluralità di motivi:

a)la strada costituisce un "transetto", cioè una linea-fascia di campionamento (del tipo propositivo o "judgment sampling") dell'intero territorio;

b)la strada ( e non solo romana) costituisce di norma un vettore- catalizzatore privilegiato di informazione antropogenetica prossimale (strutture e infrastrutture abitative, produttive, di storaggio e occultamento, di servizio e di tipo "proiettivo-simbolico");

c)il reticolo stradale costituisce un network in relazioni spaziali critiche con l'altro network suddelineato delle unità idrografiche ed idrauliche antiche ed attuali: ancora una volta l'esplorazione mirata di queste relazioni (rete su rete) apre una estessa opportunità di inferenze funzionali dirette e di individuazione mirata e predittiva di critiche intercettazioni (ad esempio una foto-traccia teleosservata di strada interrotta da un canale di scolo o da un fiume) da esplorare. sul campo;

d)il tracciato della strada romana, evidenziato, per il tratto in oggetto, da vari autori e a vario livello di risoluzione (la restituzione più fine è senz'altro quella più recente già presentata da Flavio Cafiero), è tuttora al centro di un intricato ed animato dibattito polarizzato soprattutto sulla sua funzione ed sui collegamenti a distanza (cfr. ad es. ***BIBLIO...).

 

4.4 ORIENTAMENTO PROBLEMATICO E STRATEGIA: I 4 HOT SPOTS.

Lo scopo della ricerca è composito:

a) capire le relazioni funzionali della strada romana con le idrografie attive e fossili di contesto e con la rete artificiale di drenaggio centuriale;

b) elaborazione di una strategia a minima spesa energetica di integrazione operativa di ricerca di superficie (dalla teleosservazione all'ispezione di stratigrafie esposte) e ricerca subacquea, suscettibile poi di più vasta applicabilità al di fuori dei condizionamenti specifici del caso di studio.

Allo scopo sono stati mirati, lungo tutta la rete stradale in oggetto 4 punti caldi (Hot Spots), di cui uno anche "scottante", dotati di vario grado di potenzialità diagnostica sull'orizzonte problematico mirato (in sequenza da Sud-Ovest a Nord-Est):

1) LOC. TORRETTA (Legnago): fototracce teleosservative di un tratto di strada intercettata da idrografie attive (Fossa maestra; Canal Bianco) e fossili (paleo-Tartaro), in corrispondenza di cui, significativamente, la fototraccia stesso presenta una marcata inflessione ;

2) LOC. LOVO(Villabartolomea): le fototracce della strada individuano un bivio, già ben noto in letteratura ("Bivio del Lovo"), intercettato dalla rete attuale di drenaggio in vari punti critici (cfr. in particolare i rilievi di sezioni esposte condotte nel quadro delle campagne 1991-92 del progetto AMPBV );

3) LOC. PONTE DI PIETRA(Legnago): le fototracce della strada si fanno sempre più evanescenti in prossimità dell'intercetto dello scolo Cagliara (unità paleodossiva di avulsione atesina probabilmente attiva in epoca romana e ora ridotta a modesto collettore canalizzato di drenaggio con limitato flusso residuale) dove si colloca un significativo toponimo "Ponte di Pietra"

4) LOC. CANTARANE presso Carpi Villabartolomea) (toponimo evidentemente evocativo se non da attrazione fatale per noi "frog archaeologists"): si tratta di una marcata ansa dell'Adige compresa fra i comuni di Carpi di Villabartolomea Castagnaro sulla riva destra e Terrazzo sulla sinistra. In corrispondenza di acute secche stagionali è ripetutamente stato segnalata e più volte fotografata un'ampia massicciata con palificazioni di supporto che attraversa in direzione N/S l'alveo dell'Adige: la vulgata corrente, corroborata da alcuni eclatanti articoli apparsi sulla stampa locale (cfr. ad esempio Arena di Verona del del 27 Dicembre1983) e 6 Agosto1989 ha definitivamente identificato il manufatto come una prosecuzione tratto della strada romana in oggetto a sua volta identificata Emilia-Altinate. L'ipotesi ad una prima verifica di verosimiglianza risultava alquanto improbabile in funzione di parametri quali orientamento, struttura (solo 7 km ad Ovest, al Bivio del Lovo succitato la strada in oggetto si era chiaramente rivelata in sezione semplicemente in terra battuta), stato di conservazione; la fototraccia poi, scompare decisamente, al di fuori dell'alveo attuale (posteriore quindi al corso più settentrionale del corso romano dell'Adige) e si prospettava quindi fin dall'inizio come un ben più probabile ma non ancora identificato manufatto idraulico, di certo interesse storico, ma di età presuntivamente post-Altomedievale (posteriore cioè al diluvium di di Paolo Diacono di fine VI sec. ). Su questo punto "scottante" si è direzionato il nostro primo intervento congiunto e programmato di teleosservazione/trattamento di immagine, ricognizione subacquea, ricognizione di superficie e analisi storico-documentaria.

Il paragrafo che segue offre alcune proiezioni di tale ricerca appena iniziata

 

5. CANTARANE: LA RICOGNIZIONE IN SITU.

L'area presa in esame per le indagini subacquee è una fascia di circa 300 metri per 20. Si trova nell'alveo dell'Adige a sud dell'abitato di Begosso, in prossimità del toponimo "Il bosco". La prima prospezione ha permesso di localizzare tre gruppi areali distinti ma omogenei e interconnessi tra di loro (nota 1).

Area A:

E' localizzata lungo la riva destra del fiume a circa 30-40 metri dalla fine di un grosso isolotto sabbioso, ricco di vegetazione.

La parte esaminata si estende su un'area di circa 15 metri per 4 allungata lungo la riva con un orientamento N10E.

Il campanile di Begosso è visibile a 357°N (nota 2).

Si sono rinvenuti cinque pali di 10-15 centimetri di diametro equamente distanziati di circa un metro e mezzo

Almeno altri tre pali sono situati su una seconda fila distante dalla prima di circa due metri.

Questa seconda fila sembra avere un orientamento leggermente differente N20E, ma potrebbe trattarsi di un effetto dovuto al cedimento del ciglio del fiume.

Al tatto si sono sentiti altri pali coperti dalla sabbia.

L'area ha quindi una estensione molto maggiore sia verso al centro del fiume che verso riva.

Posizionamento del Manufatto rispetto all'alveo del fiume Adige. Vi sono indicate le tre aree di ricerca.

 Area B:

E' situata al centro del fiume a circa 150 metri a nord dall'area A.

Visibili numerosi pali con diametro variabile da 12-15 centimetri, di cui cinque, più alti, allineati in direzione N15E apparentemente su una direzione non congruente con la struttura C, da cui distano solo sei metri, ma congruente con le strutture viste nell'area A.

 

Area C:

E' situata al centro del fiume e si estende per una lunghezza di almeno 100 metri.

A seconda del livello dell'acqua del fiume si presenta in maniera diversa.

La struttura è visibile in superficie grazie ad un allineamento di isolotti di ciottoli e sabbia fluviale che ne seguono l'orientamento.

Sugli isolotti più elevati si è impostata anche una vegetazione di arbusti.

Al momento dell'indagine erano evidenti due isolotti maggiori ed altri tre minori mentre all'estremità nord si intravvedevano ancora dei rialzi subacquei che provocavano forti turbolenze per alcune decine di metri.

La struttura è orientata praticamente nord-sud.

 
foto 1: Manufatto fotografato nel 1990. Foto Mauro Calzolari

foto 2: Manufatto ricoperto di vegetazione fotografato nel luglio del 1994.

Il substrato è formato da un rilevato di ciottoli fluviali, arrotondati, di dimensioni variabili da 15 a 30-÷40 centimetri.

I ciottoli, estranei alla facies sedimentaria dell'area che è formata unicamente da sabbie, sono dovuti ad un intervento antropico.

Il rialzo ha una estensione visibile di almeno 8 metri nel senso della larghezza successivamente scompare sommerso dalla sabbia.

Durante l'abassamento del livello dell'acqua del flume si può vedere la struttura emergere in maniera evidente in quanto si innalza fino a raggiungere quasi due metri nel punto più elevato e di massimo dislivello.

 

L'inclemenza del tempo meteo ha impedito di svolgere completamente il programma di immersioni previste, che sono state rinviate in attesa di operare in condizioni di sicurezza (nota 3).

 
foto 3-4: Fasi del rilevamento compiuto dalla Sez. di Archeologia del Club Subacqueo Tre Mari di Vicenza

 

6. PRIME PROIEZIONI INTERPRETATIVE PRELIMINARI.

Le analisi teleosservative e di trattamento di immagine, le ricognizioni subacquee e di superficie (A. DE GUIO 16/9/94) effettuate sulla scorta di una prima visitazione corsiva della documentazione storico-cartografica disponibile , hanno consentito di collegare organicamente il manufatto in oggetto a tutta la serie di eco-fatti e manufatti (paleoalvei e paleocanali, sbarramento) connessi alle complesse vicende storiche del Castagnaro, che ebbero una importanza fondamentale, per tutto l'Evo Moderno e Contemporaneo, nell'assetto idraulico della Bassa pianura Atesina e territori limitrofi.

I punti salienti di questo intricato e in parte ancora controverso percorso evolutivo si possono così enucleare (cfr. PALEOCAPA P. 1859, Memorie di idraulica pratica, Venezia, Antonelli; BEVILACQUA E. 1982, Le grandi linee di evoluzione del paesaggio agrario in territorio veronese, in BORRELLI G. (a cura di), Uomini e civiltà agraria in territorio veronese dall'alto medioevo al sec. XX, pp. 1-30; AVESANI B. 1993, L'Adige malefico e le rotte, in TURRI E., RUFFO S.(a cura di), L'Adige. Il fiume, gli uomini, la storia, Verona, Cierre, pp. 346-378; MORIN G. 1993, La bassa pianura, in MORIN G., SCOLA GAGLIARDI R. (a cura di), Un territorio e le sue acque. Profilo storico dell'idrografia e del paesaggio agrario fra Adige e Tregnon, Consorzio di Bonifica Valli Grandi e Medio Veronese- Cassa di Risparmio di Vicenza, Belluno e Ancona, pp. 135-151; BEVILACQUA in BORRELLI 1982, pp. 13-21)

1198: dall'alveo dell'Adige si producono, presso l'attuale Castagnaro, due "diversivi" (avulsioni) denominati successivamente Castagnaro e Malopera;

1278: si allarga la bocca del Castagnaro;

1438: nella guerra contro Venezia il marchese di Mantova, Gian Francesco Gonzaga, per far passare le navi dal Tartaro all'Adige apre, presso Castagnaro, due varchi nell'argine destro dell'Adige , alla volta dello Zecchin (Malopera, a sud di Castagnaro) e di fronte al borgo di Castagnaro stesso. Si produce in conseguenza un catastrofico sovralluvionamento della pianura. Da allora le acque dell'Adige defluiscono in modo preponderante nel Castagnaro e di qui al Tartaro che diventa così un vero diversivo dell'Adige stesso, denominato Canalbianco dalla confluenza di Canda proprio per il prevalente apporto di acque atesine chiare;

1545: a questa specifica data risale il manufatto in oggetto di studio: esso corrisponde ad una realizzazione ben nota nelle fonti di storia idraulica (cfr. PALEOCAPA 1859, Memorie di idraulica pratica, Venezia, Antonelli, 1859 ) e che segna un capitolo storico di notevole importanza nell'inizio di una politica di controllo idraulico a scala regionale intrapresa dalla Serenissima con l'istituzione dei Provveditori sopra i Beni Inculti In tale anno (PALEOCAPA 1859, pp. 7-ss.) in seguito al progetto presentato da Zuane da Carrara, che aveva notato come il Castagnaro riceveva dall'Adige due terzi delle sue acque in tempo di magra e quattro quinti in tempo di piena, la Repubblica di Venezia, al fine duplice di mantenere la navigabilità dell'Adige e del Castagnaro e la funzione di collettore di quest'ultimo, imponevano la restrizione della bocca di tale diversivo: venne costruito "uno stramazzo, o vogliam dire una briglia attraverso l'alveo, costituita da un sistema di cassoni palificati e riempiti di sassi, nella quale voleva che a mano destra si conservasse una cunetta più profonda, avente, come pare, per iscopo scia di non scemare troppo la diversione, sia di conservarla praticabile alla navigazione" (PALEOCAPA 1859, p. 14). Gli effetti indotti dall'opera risultano però a breve termine negativi: interramento progressivo, innalzamento dell'alveo dei due fiumi, ostacolo alla navigazione e rischio più elevato di impaludamento;

1791: si costruisce una prima opera di regolazione del Castagnaro, che doveva funzionare solo quando le piene dell'Adige superavano di 0.857 m. il segno di guardia Barozze all'idrometro di Castagnaro;

1838: su progetto del Paleocapa (memoria del 1835) si procede alla chiusura definitiva del diversivo

 

7. PROSPETTIVE SUB/SURF.

L'intervento a Cantarane ha rappresentato un primo debutto di un percorso lungo e faticoso di costruzione della "cultura anfibia" su prospettata all'incontro di culture finora parallele, quella subacquea e quella superficiale: non ci siamo ancora impantanati nelle paludi e abbiamo cominciato a gracidare discretamente col "linguaggio delle rane", a coniugare, cioè, senza pretese, i primi brani di uno specifico "vocabolario tematico della complessità".

 
foto 5: Foto del manufatto nei pressi di Carpi e Begosso (febbraio 2002)

 Ringraziamenti:

Si ringrazia il club subacqueo Tre mari di Vicenza ed in particolare i componenti della sezione di archeologia subacquea per la disponibilità fornita nel corso delle prospezioni e del rilevamento del manufatto. Un grazie alla dott.sa Antonella Manzi per le informazioni di carattere generale reperite durante l'elaborazione della tesi e gentilmente messeci a disposizione fornite, alla sig.ra Monica Trivellato per le notizie bibliografiche ed un grazie particolare al dott. Mauro Calzolari e al sig. Serafin Antonio di Villabartolomea per le informazioni ed i materiali fotografici messi a disposizione.

 

Note relative al testo

(nota 1) Sulla testa dell'isolotto boscoso fuoriescono altri pali, ma allo stato attuale delle ricerche non sono stati presi in esame. Anche sulla sponda a nord, dove l'Adige compie una ampia curva, vi sono diverse decine di pali da 10-15 centimetri di diametro allineati in modo da formare una conterminazione a difesa della sponda. Anche quest'area non è stata oggetto di indagine.

(nota 2) 2) Le misure di direzione sono fornite rispetto al nord magnetico, per riferirle al nord geografico sottrarre (alla data della pubblicazione) circa 2° a causa della declinazione magnetica.

(nota 3) 3) Le operazioni subacquee sono state realizzate dalla sezione di archeologia subacquea del Club Subacqueo Tre Mari di Vicenza. Alle indagini hanno partecipato: E. Albanello, G. Baretta, L. Bazzan, M. Borgo, C. Chemin, D. Dal Collo, A. De Antoni, M. Fantini, D. Sartori, N. Schiavo..

  

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