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Villaggi su palafitte - La Quercia di Lazise

di Antonio Rosso

da "Archeosub" Gli Speciali di Sub - anno VIII - giugno 1991 - pp. 128-129

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Attualmente (nel 1991 n.d.r.) sono pochi i siti archeologici palafitticoli che sono stati scavati stratigraficamente in Italia con metodologie subacquee: l'insediamento Villanoviano del Gran Carro, nel lago di Bolsena, l'insediamento del bronzo medio di La Quercia, nel Lago di Garda, e l'insediamento del bronzo a Viverone.

L'organizzazione di un cantiere richiede parecchia attenzione anche se la profondità di lavoro è molto bassa.

Vediamone uno in particolare: quello di La Quercia, a Lazise, nel lago di Garda, che sta diventando un punto di riferimento per l'importanza scientifica dei dati che sono stati acquisiti e nel quale da nove anni si conducono due regolari campagne di scavo e rilevamento all'anno e che, come per Bolsena e Viverone, è servito a sperimentare soluzioni tecnologiche e organizzative.

L'insediamento palafitticolo de La Quercia si estende per 500 metri per 150, parallelo all'antica linea di costa.

L'ambiente di lavoro si presenta, a chi si immerge, come costituito da un fondale ricoperto da ciottoli di varia misura, da cui affiorano appena moltissimi pali.

Una leggera corrente è sempre presente e la visibilità si mantiene costantemente su tre-quattro metri, mentre l'area di scavo è localizzata a circa tre metri di profondità.

La prima difficoltà è stata quella dell'addestramento degli operatori che hanno frequentato almeno un corso per Operatori Tecnici di Archeologia Subacquea; i più anziani ne sono diventati istruttori.

Il primo corso è stato realizzato all'inizio dell'attività dal Museo in collaborazione con la Soprintendenza archeologica del Piemonte, a Desenzano, con la direzione del dottor Luigi Fozzati, che ha gettato le basi della struttura operativa.

Si sono succeduti, poi, negli anni i corsi Otas di Venezia e di Padova e un corso organizzato direttamente dallo stesso Museo di Verona.

Responsabile dello scavo è la dottoressa Alessandra Aspes, conservatore di Preistoria del Museo Civico di Storia Naturale di Verona.

Sono stati rilevati 5499 pali quasi completamente costituiti da quercia, in accordo con quanto è stato trovato in altri insediamenti: le due specie predominanti sembra siano quercia e ontano.

Lo strato archeologico è molto spesso, oltre un metro e di difficile lettura per le numerose unità stratigrafiche.

Vi sono due livelli antropizzati, inseriti in tre fasi evolutive che culminano nella copertura dell'area a opera di una conoide fluviale, ancor oggi ben visibile.

La palafitta sembra riferibile quasi totalmente alla fase media dell'età del bronzo e forse essere stata impiantata nell'ultimo periodo del Bronzo antico (XVII sec. a.C.).

Ogni anno vengono eseguite due campagne, l'autunnale di scavo e quella primaverile di rilevamento.

Pur essendo tutta la zona del Garda interessata da palafitte, quella di la Quercia è l'ultima ad essere stata scoperta, nel 1983, ma su di essa sono subito state utilizzate tecniche subacquee.

L'area è stata delimitata in settori di 30 metri suddivisi in corsie di tre metri.

Per prima cosa si provvede a individuare i pali affioranti, li si contrassegna con un disco di Pvc precedentemente punzonato con numeri progressivi e si segnano su una lavagnetta l'essenza (latifoglia o resinosa), la forma, la sezione e l'eventuale lavorazione.

Successivamente con un tacheometro elettronico si rivela ogni palo; i dati, elaborati in personal computer, vengono poi stampati con un plotter per ottenere la planimetria.

Sull'area dello scavo è stata impiantata una base galleggiante costituita da un pontone di cinque metri per quattro su cui vengono lavati i materiali provenienti dallo scavo che procede mediante sfogliatura manuale dei livelli con tagli di cinque centimetri l'uno.

L'avanzamento avviene per settori di scavo di un metro quadrato e in quattro quadranti.

Su queste basi viene registrato il materiale recuperato.

Sul fondo la visibilità è garantita da due eiettori e sono disponibili due aspiratori (sorbone), una ad acqua e una ad aria.

Tutti gli operatori lavorano in coppia, per questioni di sicurezza e sono radiocollegati con il pontone su cui è sempre pronta una imbarcazione.

La documentazione è composta dal giornale di scavo, dai rilevamenti in scala 1:1. realizzati con fogli di acetato di ogni livello sfogliato, da riprese video e da un fotomosaico giornaliero della pianta e delle sezioni di lavoro.

Tale metodologia è stata premiata anche dai ritrovamenti: tra i materiali particolarmente interessanti che sono stati rinvenuti, un cenno merita uno spillone di bronzo lungo più di 50 centimetri con testa a disco e gambo avvolto a tortiglione e una "tavoletta enigmatica" in terracotta.

Ricca l'industria ceramica con bicchieri globosi, ciotole emisferiche e carenate, vasi troncoconici, orci e dolii con numerosi elementi decorativi.

Sono state recuperate fusarole, pesi da telaio, soffiatoi; tra i bronzi, pugnali, tubicini, bottoni e pendagli. In selce, numerose le punte di freccia, gli elementi di falcetto, i pendagli in pietra, le macine e macinelle.

In osso, punteruoli, spatole, immanicature.

Moltissimi i semi (nocciolo, corniolo) e i resti di ossa di animali.

Il cantiere è sempre in attività: per informazioni chiedere della dottoressa Alessandra Aspes, al Museo di Storia Naturale di Verona.

  

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