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Le navi del Lazzaretto Novo

di Massimo Giacomazzo

pubblicata su "Laguna Mare" anno III n. 14 - dicembre 2003 /gennaio 2004 - pp. 9-13
per gentile concessione del Direttore Responsabile Sebastiano Giorgi

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Il Teson Grando è l'edificio [1], dove venivano immagazzinate nell'isola del Lazzaretto Novo le merci provenienti dal Levante sospette di causare epidemie.

Che le sue strutture murarie potessero contenere qualche importante riferimento alla storia navale di Venezia era stato ventilato da tempo, ma solo quest'anno grazie all'Archeoclub locale è stata attuata la scientifica pulitura di alcuni intonaci, riportando alla luce iscrizioni, stemmi e disegni che arricchiscono le nostre conoscenze sull'uso sanitario dell'isola da parte della Serenissima e su coloro che, per lavoro o necessità, vi trascorrevano periodi talvolta lunghi, riportando sulle pareti testimonianze di grande immediatezza.

Non erano persone di cultura, ma gente di mare o guardiani del Magistrato alla Sanità, che segnavano con scrupolosità sui muri le partite di mercanzie in quarantena per consentirne un efficace smistamento: ogni tanto qualcuno lasciava tracce "personalizzate", messaggi a conoscenti che sarebbero passati di là o, nell'ozioso scorrere del tempo, un segno della propria attività.

Ecco allora l'iscrizione del "galion vechio venuto da Napoli de Romania il 24 genàro del 15.." oppure il disegno accurato di un'altra nave "che vene da Chos l'11 marzo, che Dio la salvi e mantegna"; un elegante armigero dotato di alabarda campeggia nel pilastro di un arco, per non dire dello sfogo di un addetto ai controlli che mette in guardia su non meglio identificati "spioni".

Venerdì 18 luglio di quest'anno è stata una data importante: il giorno prima avevo tenuto una conferenza sui galeoni e la loro evoluzione nell'Europa della Rinascenza, puntando l'attenzione sui progetti dell'Arsenale di Venezia e la loro comparazione etimologica con le navi a remi, che assicuravano il trasporto dei prodotti più pregiati dall'Oriente [2] e che toccavano, fuori dal Mediterraneo, i ricchi mercati di Fiandra e d'Inghilterra.

A Venezia si chiamavano "galeazze" ed erano le discendenti delle galee grasse da mercanzia del tardo Medioevo.

Nella mattina del 18 luglio, dicevo, sulla parete di testa del Teson sono comparsi a circa 3 metri d'altezza i segni inconfondibili dello scafo di una grande nave, dipinta da una mano modesta, ma precisa e attenta al dettaglio con una mistura a base di pigmento rosso ossido di ferro e coccio polverizzato, la stessa can cui si ricopiavano i sigilli delle partite di merce.

Più in basso emergeva l'incerta prua di una seconda nave di difficile classificazione databile allo stesso periodo.

Il reperto principale, riportato alla luce dai ricercatori appassionati di archeologia Luciano Zarotti e Dorina Petronio, con oltre due metri di sviluppo e un buon dettaglio, consente uno studio accurato, poiché possiamo affermare di trovarci di fronte a qualcosa di particolare, forse l'unica rappresentazione "di mestiere" a livello mondiale del "galion a remi" veneziano.

La pittura rinvenuta nel portale del "tezon Grando"
In rosso le linee di studio delle forme dello scafo

Che io sappia ne esistono, in tutta la letteratura sul tema, due studi di cantiere conservati all'Archivio di Stato a Venezia: il più completo raffigura un tipo moderno (attorno al 1650) che somiglia a un piccolo vascello, l'altro è il profilo di una nave ibrida, abbastanza complicato da decifrare prima d'oggi.

Sbalorditiva, per cui pensavo a un prototipo o barca di rappresentanza, è la prua in cui si mescolavano il classico sperone appuntito, le forme piene della nave d'altura e una sovrastruttura incurvata all'insù sia verso avanti che all'indietro, in apparenza un non senso costruttivo, forse una curiosa decorazione, quando ora lo intendo il logico punto di attacco delle sartie del trinchetto, l'albero prodiero molto inclinato in avanti [3].

Non avrei mai pensato di ritrovare tutto questo nel disegno del Lazzaretto eseguito da un addetto ai lavori, il che mi spinge ad affermare che il "galion a remi" è stato utilizzato sulle rotte della Repubblica di San Marco tra la metà del XVI secolo e l'inizio di quello successivo, mentre il suo sviluppo copre un arco dal primissimo cinquecento (come testimoniato dal quadro del Carpaccio "San Giorgio e il drago") alla meta del XVII sec., col progetto del galeoncino galeoncino con voga ausiliaria.

La parte centrale dello scafo disegnato tra i due portoni del Teson ricorda le familiari linee della "galeazza", ma verso poppa s'innalza in un lungo ponte sopraelevato, il càssero, ampiamente finestrato a cui si sovrapporrebbe a poppa estrema il ponte di comando vero e proprio [4].

Diversamente dalla galeazza, la cui struttura s'incurvava con forme rotondeggianti completate dal timone a falce di relativa efficacia, qui la poppa è troncata di netto, terminando a spigolo vivo tra chiglia e dritto di poppa.

Galeazza di Lepanto - Giacomazzo 2001

Poco congeniale alla guerra basata sull'arrembaggio frontale - l'artiglieria delle galee era disposta sulla rembata a prua e sparava solo verso avanti - il 'galion" esprimeva le sue potenzialità di veliero, prestandosi al trasporto celere anche fuori stagione [5] di merci particolari e personaggi di spicco fidando su una sostanziosa ciurma a difesa dai pirati, che infestavano il Mediterraneo.

Una sequenza di riquadri con un punto scuro al centro, lungo la parte superiore dello scafo, può essere variamente interpretata: forse è il parapetto forato per il passaggio dei remi, forse una pittura decorativa della murata, o una serie di aperture su cui montare le artiglierie per il combattimento ravvicinato; plausibile pure una stilizzazione della fila di scudi, montata a protezione del ponte scoperto prima della battaglia o esibiti in porto, a dimostrazione della difficoltà di tradurre le testimonianze di un passato a noi pur relativamente vicino e familiare.

Nel profilo manca quasi del tutto l'alberatura, il che rende problematica ogni supposizione.

Quando una nave giungeva in porto - in caso di conclamate epidemie o sospettandone la presenza a bordo - carico ed equipaggio erano trasferiti in quarantena al Lazzaretto; lo scafo veniva disinfettato e posto sotto sequestro nei canali di contumacia" e poteva essere disarmato e portato all'asciutto, approfittando della sosta forzata per riparazioni, manutenzione o modifiche: date le essenze lignee poco stagionate. usate di norma per una costruzione pensata per durare lo stretto necessario, era una prassi diffusa in tutta la marineria remiera dell'antichità.

Il disegno può quindi rappresentare una tale evenienza, inclusa l'asportazione dell'alberatura ad esclusione di un picco di carico, incastrata al posto dell'albero maestro per le necessarie attività in porto, vivida rappresentazione della realtà dell'epoca, arricchita dalla grande ancora - la cui gomena appare srotolata orizzontalmente, praticamente uguale a quella recuperata quasi intatta dall'ARGO, associazione di ricerca archeologica subacquea, che con l'interessamento del Ministero dei Beni Culturali ha trovato collocazione nel Museo di Chioggia - e dalla scaletta pendente sotto la poppa.

D'altro canto è alla portata di qualsiasi curioso l'osservazione dei bassorilievi sulla facciata della chiesa di S. Maria del Giglio a Venezia, dove sono visibili diverse navi veneziane dello stesso periodo e molto vicine al "galion"

Galion a remi - dal quadro del Carpaccio - Giacomazzo 2003

Lo propulsione mista [6] costituì uno dei filoni progettuali più variegati, portati avanti dalle maestranze dell'Arsenale veneziano e, se l'annessa Casa dei Modelli non fosse stata saccheggiata dai Francesi nel 1797, sono convinto che disporremmo di una valida documentazione sull'argomento.

La costruzione di scafi che esigevano complessi calcoli a tavolino per la realizzazione di carene adeguate ai grandi velieri della Rinascenza portò ovunque alla fondazione di uffici tecnici, presso i quali divenne comune costruire dei modelli delle navi che venivano ordinate dallo Stato e dai privati, sia per esibirne le qualità, che per rendere tangibile l'investimento economico necessario alla loro realizzazione.

Anche a Venezia fu istituita una simile struttura e darei per scontata una forte presenza di studi e modelli, che analizzavano sul piano scientifico e funzionale l'applicazione del trinomio propulsione mista, stazze rilevanti e artiglieria imbarcata.

Se consideriamo che i due primi galeoni a vela costruiti nell'Arsenale [7] rimasero sugli scali circa 3 anni e che uno dei due affondò pochissimi anni dopo per problemi di stabilità - storia paragonabile al "relitto dei cannoni" scoperto nell'estate del 2003 presso l'imboccatura del porta di Malamocco date le misure 41 m. per 10, i cannoni di lunghezza attorno ai 3,5 m. e i numerosi calibri delle palle d'artiglieria recuperate - mi pare evidente come la fiorente progettistica, che aveva inventato le mitiche fortezze da battaglia per Lepanto, abbia investito non poco nel tentativo di raggiungere un coerente compromesso economico e funzionale.

Se escludiamo i due progetti già citati e la pittura del Lazzaretto Novo, i più importanti riscontri li traviamo curiosamente in Inghilterra e Nord della Francia, (contemporanei alla breve stagione vissuta a Venezia dal 'galion".

In particolare "The Anthony Anthony Roll" e il quadro sull'affondamento della caracca da guerra 'Mary Rose" mostrano navi in tutto simili al "galion a remi", lasciando intuire importanti scambi culturali tra i due paesi.

Non deve invece sorprendere l'assenza di simili produzioni in Spagna: credo che la flotta dei Conquistadores avrebbe tratto poco vantaggio da navi così particolari.

Cosa ci facesse il galion a remi" nel mondo anglosassone è un argomento da approfondire.

Nel suo "La nave" del 1961, lo svedese Landstroem cito l'Anthony Anthony Roll, sorta di almanacco navale che passa in rassegna la flotta inglese di metà Cinquecento dall'ammiraglio, la grande caracca Great Horry, alla Jhesus of Lubeke, futura portacolori di Hawkins nelle prime scorribande contro le basi spagnole delle Antille, alle "Henry's row barges", le barche a remi di Re Enrico VIII, scafi appena più lunghi e bassi dei galeoni classici con propulsione remiera di mera funzione ausiliaria.

In un più preciso profilo riferito a un legno francese, si ha la conferma di quanto sopra.

Se calcoliamo che la galea sottile era passata dalle originarie 150 tons alle circa 200 nel secolo XVI (incremento dovuto in massima parte all'imbarco dell'artiglieria) a parità di rematori - circa 150 - la velocità di punta e di crociera sotto voga scadeva da 8÷9 a 6÷7 e da 5 a 3,5 nodi [8].

In contemporanea, o a causa di ciò, il palamento [9] era passato dal terzaruolo allo scaloccio abbandonando la tradizionale voga con terne di remi manovrati ognuno da un singolo, esperto vogatore (a Venezia detta "alla sensile").

I tre uomini dello stesso banco erano ora affrancati a un unico remo molto più lungo; portando ad esempio a 5 i rematori per banco si ripristinarono le velocità a scapito del raggio d'azione, ma ormai le flotte da battaglia - come a Lepanto - erano accompagnate da un treno logistico di velieri (vale qui richiamare nuovamente il misterioso "relitto dei cannoni").

Con la galeazza e il galeone i veneziani avevano tentato di riunire queste contrastanti caratteristiche; dati i vasti interessi col mondo anglosassone, è probabile che l'evoluzione tecnologica abbia funzionato in modo bilaterale, offrendo l'opportunità ai progettisti d'oltremanica, seguiti a ruota dal regno di Francia, di sperimentare la validità della propulsione mista.

L'esperimento non diede i frutti sperati, lasciando intuire qualche uscita dimostrativa in assetto da battaglia, soprattutto sotto costa o nell'assedio di fortezze costiere dove i remi consentivano maggior mobilità.

Di fatto rimanevano barche troppo pesanti, inefficaci e dispendiose.

A Venezia pare che gli studi abbiano seguito un percorso più armonico, tentando soluzioni ardite per superare in parte i limiti "fisici" del galion a remi.

Riepilogandone le criticità, si va dall'elevato pescaggio (altre 150 cm.) all'ingombro della pesante prua, da bilanciare con un'equivalente struttura all'altro capo dello scafo.

Delicato il posizionamento e calibro dell'artiglieria principale, nonché il numero delle postazioni di voga in rapporto a quanti uomini assegnare ad ognuna di esse.

Nella galeazza si erano estremizzati i criteri costruttivi della sottile da guerra con la grossa da mercato ottenendo una fortezza semovente, ben diversa dalle dispendiose ammiraglie (dette "lanterne" dagli iberici, capitane o bastarde a Venezia); poco sensibile alla manovra, furono persino riproposti i remi-timone laterali, lentissimo sotto voga, fragile a causa dei pesi ammassati alle estremità, dimostrò i suoi limiti incluso l'armamento comunque inferiore ai velieri e l'esposizione dell'equipaggio ai colpi d'arma da fuoco nella disgraziata impresa della Felicissima Armada, pur in presenza di condizioni ambientali inizialmente favorevoli al suo utilizzo (venti deboli, azioni sotto costa).

Col "galion" i mastri d'ascia dell'Arsenale provarono alchimie differenti: per compensare il castello lo scafo fu allargato e contropontato collocando i grossi calibri sulle fiancate; la ricerca di funzionali forme idrodinamiche è particolarmente visibile nella poppa a specchio e nel montaggio di un efficace timone verticale. Ma la vera differenza va ricercata nel numero elevato di remi sfruttando al massimo il rapporto lunghezza/larghezza dello scafo: con oltre 30 remi per fiancata e 2 o 3 vogatori allo scaloccio su ogni banco si aveva una potenza comparabile alle migliori capitane, fermo restando che con la velatura aurica introdotta a fine Quattrocento (si richiama nuovamente il quadro del Carpaccio) queste imbarcazioni utilizzavano di norma entrambe le formule propulsive.

Se non usate per la guerra, si era ottenuto un buon equilibrio tra le varie componenti, ma ritengo che i miei antenati abbiano fatto di meglio: sia la pittura al Lazzaretto che il profilo dell'Archivio di Stato hanno un lunghissimo cassero, che occupa la metà posteriore dello scafo.

Strutture equivalenti si ritrovano nelle caracche dello stesso periodo, ma qui pare siano migliorate ed alleggerite per portare una cospicua batteria di cannoncini, micidiali a distanza ravvicinata; così il nostro "galion" diventava un efficace strumento navale nel Mediterraneo Orientale.

Il suo difetto congenito rimaneva la vulnerabilità e il peso del sempre più costosa motore umano: nell'evoluzione della nave c'era una soluzione di immediata efficacia, l'abolizione dei remi, grazie alle innovazioni nell'attrezzatura dei velieri puri; col galeone prima ed il vascello a seguire, le marinerie relegarono le unità remiere a compiti di sorveglianza costiera o dogana.

Alla metà del seicento finivano gli estemporanei tentativi di far sopravvivere la categoria: poche galeazze, nelle quali l'antico sperone di prua aveva preso le forme di elaborate strutture barocche uguali alle serpi dei vascelli, restarono in produzione spesso riprendendo l'antica velatura latina, per cui vennero catalogate come "riformate": con tale curioso ritorno al passato, la breve, contrastata stagione del "galion a remi" era finita.

Dubbi?

Sempre, quando si tratta di decifrare immagini sbiadite del passato: la più lampante obiezione è l'assenza dei remi e di qualsivoglia struttura delineata al loro appoggio; sempre escludendo i remi e in assenza di indicazioni precise per l'alberatura, si potrebbe addirittura classificare la nave del Lazzaretto come "caravella".

Non mi appello al buon senso dettato da decenni di studi a alla presenza di alcune linee appena più marcate all'altezza di un'ipotetica pasticcio, il robusto asse longitudinale su cui poggiavano i remi.

Fatto sta che altre immagini di navi veneziane mostrano le stesse caratteristiche: disegno dell'opera viva (la parte immersa dello scafo), assenza di remi, vista di profilo, ma soprattutto il notevole allungamento dello scafo, quando i velieri puri cinquecenteschi presentavano forme raccolte e alte di bordo ad esclusione di certi modelli classificati "caravelle" da alcuni autori: non condivido questa interpretazione dettata a mio avviso dalla studio sull'apparato velico e solo in minor misura dal disegno dello scafo.

Del "galion" si sta interessando anche il mondo modellistico: un primo simulacro sarà esposto alla mostra "Tra calafati e mastri d'ascia", di cui si parla nella pagina modellistica di questo numero, in programma dal 15 novembre a gennaio 2004 presso la Biblioteca Statale di Trieste.

In chiusura, raccomando di considerare questo testo come una semplice introduzione, a cui seguirà un'analisi tecnica e storica più esauriente.

 

 

Note al testo:

[1] A Venezia secondo in lunghezza alle sole corderie dell'Arsenale.

[2] Spezie e tessuti, ma anche preziosi, legname e metalli.

[3] Per spostare verso prua il centro velico di spinta e quindi migliorare la governabilità dell'imbarcazione alle diverso andature.

[4] Mancando questa parte nell'originale, la mia è una semplice deduzione da analogie con la cantieristica del periodo: nulla esclude che il cassero fosse privo di sovrapponte.

[5] La navigazione mediterranea veniva svolta da marzo a settembre evitando agli equipaggi l'esposizione alle intemperie dei mesi invernali: va qui ricordato che nelle galee si vogava all'aperto

[6] Forza muscolare applicata ai remi + spinta eolica per mezzo di vele.

[7] Erano però di progetto olandese, viste le comuni problematiche sui bassi fondali della loro costa, così come delle acque lagunari.

[8] per l'approssimativa trasformazione in km/h basta moltiplicare per 20 togliere il 10% al risultato.

[9] palamento significa corpo di voga nel suo complesso di uomini e mezzi meccanici, i remi.

 

Bibliografia e fonti:

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