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Qui abitò Marco Polo, mercante - viaggiatore

Lo scavo archeologico del teatro Malibran ha permesso di indagare sulle epoche più antiche della città, fin dal VII secolo

di Graziano Tavan

pubblicato su "Il Gazzettino" di Venezia - 23 maggio 2001

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Sotto il Malibran, la storia di Venezia e della vita prima di Venezia.

Sotto il Malibran c'è la casa di Marco Polo, la cui figura nel mondo vuol dire Venezia.

Da sette secoli, infatti, il nome di Marco Polo veicola l'immagine della Serenissima, e del suo spirito mercantile e viaggiatore, crocevia di genti e di culture, porta privilegiata dell'Oriente.

Ma se il suo libro "Il Milione", primo grande reportage di viaggio alla scoperta di mondi lontani e sconosciuti, è un indiscusso best-seller mondiale, tradotto in moltissime lingue, è proprio nella sua Venezia che in qualche modo si perdono le tracce, la memoria del mercante-viaggiatore.

Solo un semplice toponimo, la Corte Seconda del Milion, in contrada San Giovanni Crisostomo, a un passo da Rialto e dal Canal Grande, ricorda che da quelle parti è vissuto l'autore del Milione.

Ma della casa di Marco Polo, ormai, nessuna traccia. I catasti registrano che li c'era la proprietà dei Polo, famiglia di mercanti di tutto rispetto anche se non a livello dei Dandolo, Querini e Zeno; e le cronache riportano che nel 1598 il palazzo dei Polo andò distrutto da un furioso incendio e che l'anno successivo il Magistrato dei X Savi definì il luogo di nessuna rendita e quindi "vacuo".

Ora quella storia descritta negli archivi ha un riscontro materiale: la casa di Marco Polo esiste e si trova sotto il teatro Malibran.

Sono stati i lavori di restauro e di messa a norma del teatro a permettere alla soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto di avviare nel 1998 una serie di controlli, diretti da Luigi Fozzati, responsabile dell'archeologia subacquea e lagunare, che hanno permesso di indagare i segreti più reconditi di Venezia e delle sue origini.

«Lo scavo del teatro Malibran», conferma Fozzati, «ha rappresentato per l'archeologia di Venezia una tappa fondamentale, insieme a quello di Sant'Alvise, per una politica della ricerca e della tutela, che in qualche modo ha segnato l'atto di nascita dell'archeologia urbana a Venezia».

Per quanto riguarda l'aspetto archeologico, si tratta del più grande scavo realizzato in centro storico sia in senso orizzontale (è stato interessato il 75 per cento della superficie del teatro), pari a 400 metri quadri:

«Se in Europa è difficile trovare in una città un'area così ampia da scavare, a Venezia è impossibile») sia in senso verticale (sono state indagate due fosse settiche, l'intero golfo mistico e il palcoscenico, fino a oltre 2 metri e mezzo sotto il livello del medio mare, per un totale di quasi mille metri cubi)

«Poiché il teatro Malibran», interviene l'archeologa Rossella Cester, che ha curato lo scavo, «si trova all'interno dell'insula Rivoaltina nella quale i documenti d'archivio individuano una delle più antiche aree di insediamento all'interno di Venezia, si è tentato di avere una conoscenza, la più esaustiva possibile, anche delle sequenze stratigrafiche che documentano 12-13 secoli di "vita" della zona, cioè almeno dal VII secolo d.C., senza intralciare troppo i lavori edili». Non solo: uno scavo così profondo ha fornito dati anche per capire la dinamica ecosistemica lagunare, cioè l'entità dei fenomeni di eustatismo e subsidenza degli ultimi duemila anni.

«La collaborazione totale e fondamentale del Comune di Venezia e dell'allora sindaco Massimo Cacciari», continua Fozzati, «ha garantito che lo scavo, benché condotto con criteri di somma urgenza tra febbraio e settembre 1998, fosse effettuato con assoluto rigore scientifico di tipo interdisciplinare, grazie alla presenza in cantiere di archeologi classici, medievisti, post-medievisti, subacquei e navali, archeobotanici, filologi, dendrocronologi. Ciò significa che non è andato perduto alcun dato, avendo potuto lavorare anche oltre i tempi inizialmente stabiliti». Per Cacciari lo scavo del Malibran è stato «un atto di civiltà, non una perdita di tempo».

Attualmente tutti i materiali biotici ritrovati (legno, cuoio, fibre vegetali) sono sottoposti a restauro conservativo in laboratori specializzati. Il materiale ceramico, vitreo e lapideo, invece, è già stato restaurato. Ed entro la fine dell'anno sarà pubblicato un volume che raccoglierà tutti i dati di scavo e le conclusioni scientifiche a cui sono giunti gli specialisti.

Le scoperte di maggior importanza storica sono essenzialmente due: l'ubicazione esatta della casa della famiglia Polo, e in particolare dell'abitazione del famoso Marco Polo, e le evidenze di un'arginatura lignea di epoca tardo-antica (le datazioni dendrocronologiche pongono l'abbattimento degli alberi utilizzati per le arginature lignee tra il 658 e il 673 d.C.).

«Nei livelli più bassi sono emersi argini e terrapieni incrociati che costituiscono i primi lavori di reale possesso dell'area rivoaltina in epoca tardo antica», spiega Cester. «Si tratta di strutture in legno di ontano e quercia legati insieme da intrecci di "viminis" costituiti da rami di salice piegati, a cui si aggiungono nel tempo dei tiranti in quercia che sostengono palizzate e costipamenti di materiale di scarto edile e domestico in matrice limo-argillosa. Questi manufatti posseggono spesso dei passaggi in fibre vegetali intrecciate che si rinvenivano nelle aree contermini, dove abbiamo rinvenuto materiali smarriti o buttati di particolare pregio».

A questa fase più antica se ne sovrappone una caratterizzata da un insediamento con case di legno, circondate da orti e "piscine" (vale a dire luoghi con acqua).

La prima vera testimonianza di edifici di. una certa importanza si ha con l'edificazione nel l280 circa del palazzo dei Polo, di cui si sono rinvenute tutte le opere di fondazione, la corte e il pozzo, che permettono così una completa ricostruzione dell' area.

 

 

La Residenza: una casa-fondaco con corte come Cà da Mosto o Cà Lion

 

La casa di Marco Polo è una tipica casa-fondaco della Venezia del Duecento, con accesso in canale. La casa dei Polo era circondata su due lati da rii, gli stessi che ancora oggi cingono il Malibran.

Per avere una idea di come doveva essere la casa di Marco Polo, si veda corte Morosini e corte Amadi; mentre, sul Canal Grande, certamente corte di Cà da Mosto, che all'epoca di Polo era dimora di navigatori e mercanti, e corte di Cà Lion (o del Remer)

 

 

 

Le Ceramiche: dalle bizantine alle maioliche ispano-moresche

«I reperti ceramici recuperati», spiega l'archeologa Laura Anglani, «hanno permesso di ampliare le conoscenze relative ai rapporti e scambi che Venezia ha avuto nel corso dei secoli con i paesi del Mediterraneo: dalle ceramiche bizantine con ornati graffiti di XII-XIII secolo, alle preziose maioliche ispano-moresche a lustro del XV secolo.

Tra i manufatti di più antica produzione veneziana le stoviglie di XIII e XlV secolo, mentre di particolare interesse la ceramica invetriata altomedievale».

 

 

I Vetri: quel misterioso bicchiere viola

Bottiglie, bicchieri, anche crogioli. Non sono molti i reperti vitrei recuperati nell'area del Malibran. Ma uno è senz'altro eccezionale, per il suo stato di conservazione e per le sue caratteristiche: un bicchiere in vetro viola, databile nella seconda metà del XV secolo con piede ad anello dentellato e decorato da 12 marcate costolature verticali.

«E venuto alla luce negli ultimi giorni di apertura del cantiere archeologico in un fognolo utilizzato probabilmente come scarico domestico privato», sottolinea l'archeologa Martina Minini, «era rotto in quattro frammenti ma completo, ed è stato ricostruito nella sua totalità nel laboratorio di restauro della soprintendenza Archeologica del Veneto.

Siamo di fronte ad un avvenimento molto raro per tale materiale: è un caso del tutto eccezionale infatti il recupero totale nel corso dì uno scavo archeologico di un oggetto in vetro di epoca medievale o rinascimentale.

Il bicchiere, ricorda Fozzati, è stato scavato col bisturi da Sergio Camuffo: «Ci ha messo più di due ore: la tensione, per paura di rovinarlo, era palpabile. Il bicchiere viola del Malibran è avvicinabile ad un gruppo particolare di manufatti di produzione muranese, datati generalmente alla fine del XV secolo o attorno al 1500. «Il reperto del Malibran, per la sua colorazione e per la lavorazione e la cura dei suoi particolari, appare un prodotto di livello qualitativo elevato cd era certo in uso ad una famiglia agiata.

 

 

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