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Il condono dei beni archeologici e l'oligarchia del patrimonio culturale italiano

di Fabio Maniscalco

Comunicato (con preghiera di divulgazione)

 

E' in fase di approvazione un Disegno di Legge, dei ministri Urbani e Castelli, relativo alla sanatoria per il possesso dei beni antichi.

Il prof. Fabio Maniscalco, direttore dell'Osservatorio per la Protezione dei Beni Culturali e docente di tutela dei beni culturali presso la Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo dell'Università l'Orientale di Napoli, ha evidenziato i principali svantaggi per il patrimonio culturale italiano nell'articolo allegato (per il quale si autorizza la pubblicazione completa), che è stato inviato alle Autorità competenti.
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Per ulteriori informazioni ed approfondimenti è possibile contattare il prof. Maniscalco presso la Presidenza della Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo dell'Università l'Orientale di Napoli, via Melisurgo n. 44, tel. 0816909303 - 0815922443 - 3387011247 - email osservatoriobc@tin.it

 

Il condono dei beni archeologici e l'oligarchia del patrimonio culturale italiano

La cura per la propria memoria storica rivela il grado di civiltà e di moralità di uno Stato. Eppure in Italia, nazione che sotto la lungimirante regia di Giovanni Spadolini ha visto nascere il primo ministero dedicato proprio alla salvaguardia del patrimonio culturale, si ha l'impressione che in qualche modo gli organi di Governo vogliano delegare ai privati l'incombenza della conservazione del patrimonio culturale nazionale, aggirando in tutti i modi possibili l'art. 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica "…Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione"..

In realtà sin dalla sua nascita, nel 1974, quello dei Beni Culturali ed Ambientali è sempre stato un Dicastero "cenerentola" retto, salvo rare eccezioni, da ministri sprovveduti e poco inclini alla materia.

Si pensi alle sanatorie che hanno consentito l'assunzione anche a quanti, pur essendo privi di specifiche competenze e pur non essendo particolarmente meritevoli, facevano volontariato presso gli organi periferici del Ministero; allo sperpero miliardario prodotto da leggi, quali la 41/1986 (istituzione di Progetti per i Giacimenti Culturali); alla scarsa vigilanza sulle attività degli organi periferici (mancati avvicendamenti di ispettori di Soprintendenze, alcuni dei quali considerano l'area di propria competenza quasi una proprietà privata; custodi disattenti e perennemente in sciopero perché mal pagati; lavoratori socialmente utili demotivati, etc.); all'uso indiscriminato di danaro pubblico per finanziare lavori cinematografici di cui il mondo intero avrebbe fatto volentieri a meno; etc.

Anche a livello normativo non si è fatto molto. Infatti, dal 1974 ad oggi, i soli provvedimenti di rilievo sono stati il D.Lgs. 368/1998, con cui è stato mutato il nome del dicastero ("Ministero per i Beni e le Attività Culturali") e con cui gli si affidava qualche competenza in più in materia di sport e spettacolo. E proprio questi nuovi ambiti hanno reso il Ministero più interessante per la classe politica, dal momento che per i ministri ed i sottosegretari di turno gli ambiti dello sport e dello spettacolo offrono una maggiore eco a livello mediatico e, quindi, di popolarità.

Altra novità giurisprudenziale è stato il D.Lgs 490/1999, noto come Testo Unico dei beni culturali, che non ha apportato sostanziali innovazioni anche perché i testi unici, pur avendo il medesimo valore delle leggi formali, fondamentalmente costituiscono il riordinamento e la razionalizzazione di norme già in vigore.

Senza dubbio nel corso delle ultime legislature si era potuta notare una gestione scialba e piuttosto mediocre del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Tuttavia, l'attuale Governo è riuscito a dimostrare come non ci siano limiti al "peggio" sotto un profilo umano (si pensi alla boccaccesca diatriba tra il Ministro Urbani ed il sottosegretario Sgarbi o ai patetici alterchi tra lo stesso sottosegretario e cabarettisti travestiti da giornalisti) e, soprattutto, amministrativo.

Uno degli ultimi esempi della gerenza autolesionista del ministro Urbani è la recente legge di conversione del DL 63/2002 (legge sul "Patrimonio dello Stato S.p.a.), con la quale si è inteso trasformare, con una logica imprenditoriale, il patrimonio comune in un patrimonio oligarchico e con il quale la memoria storica di villaggi, paesi e città corre il rischio di essere svenduta a privati pur di racimolare un po' di danaro.

È piuttosto ambigua anche la consuetudine di affidare la reggenza di Soprintendenze a professionisti non sempre in possesso di idonei curricula e nonostante un recentissimo concorso pubblico, terminato da diversi mesi con tanti vincitori ed idonei, che è costato non poco allo Stato.

Nelle ultime settimane, inoltre, si è parlato di un'ennesima sanatoria con cui si vorrebbe condonare il possesso di beni archeologici e con cui, certamente, sarà inferta una nuova cruenta ferita al patrimonio culturale nazionale.

Difatti, quello del condono è uno strumento ignominioso, di cui l'attuale Governo ha già ampiamente abusato, atto ad arginare temporaneamente una questione ed a sottrarsi dalla responsabilità di dirimerla definitivamente con norme adeguate e con attività concrete e sinergiche tra le autorità politica, amministrativa e giudiziaria.

È noto come nel corso dell'ultimo cinquantennio leggi e decreti, indirizzati a sanare reati penali o amministrativi, abbiano favorito la dissoluzione del patrimonio culturale ed ambientale italiano. Soprattutto a partire dagli anni '80, a causa dell'assenza di controlli dei sindaci e delle autorità competenti, della lentezza dei provvedimenti giudiziari, spesso non attuati, e della ciclica emanazione di sanatorie, si è avuta una massificazione del fenomeno dell'abusivismo edilizio, che ha generato una trasformazione territoriale disarmonica in molti centri urbani, soprattutto quando i condoni erano annunciati o promessi dai politici (prima metà degli anni '80 e 1994).

Come dichiarato proprio dal Ministro Urbani, il fine del recentissimo disegno di legge dovrebbe essere di consentire l'emersione di una porzione rilevante del patrimonio culturale ancora ignoto allo Stato e di creare una sorta di anagrafe degli oggetti archeologici, in modo da limitare i traffici illegali.

Non siamo ancora a conoscenza del testo definitivo della legge che, presumibilmente, prevederà una semplice istanza da parte di un privato, magari con un'autocertificazione, per ottenere l'autorizzazione a detenere manufatti archeologici acquisiti in maniera illecita.

Tuttavia, con l'auspicio che il Governo italiano ponderi bene gli eventuali vantaggi e svantaggi del disegno di legge Urbani-Castelli, si tenterà di esporre alcune considerazioni in merito all'inutilità ed al pericolo di questo disegno di legge:

1. La possibilità di detenere un manufatto archeologico da parte di privati è già contemplato all'art. 89 del T.U. dei Beni Culturali, secondo il quale chiunque scopra fortuitamente beni mobili o immobili ha diritto ad un premio di rinvenimento o ad una parte degli oggetti ritrovati. Pertanto, il condono premierebbe in maniera iniqua ed immorale ladri e ricettatori, ai quali verrebbe concesso, ope legis, di mantenere il bottino sottratto allo Stato (e quindi a tutti i cittadini italiani).

2. Prima che il disegno di legge entri in vigore trascorreranno diversi mesi durante i quali anche i cittadini più morigerati potrebbero decidere di acquistare o di andare alla ricerca di reperti archeologici per poi fare istanza di condono al momento opportuno. In questo modo si aprirebbe una lunga stagione della "caccia alle antichità" terrestre e subacquea.

3. Il fenomeno delle archeomafie è saldamente radicato all'interno delle realtà nazionali proprio perché gli introiti annuali, derivanti dal commercio illecito d'arte, sono inferiori solo a quelli prodotti dalla droga. Pertanto, l'anagrafe dei beni culturali non fermerà l'attività dei cercatori clandestini e dei trafficanti d'arte, che continueranno ad esportare beni culturali all'estero anche grazie all'assenza di barriere doganali e di leggi inadeguate.

4. Fatta eccezione per pochi e particolarissimi oggetti, che potrebbero essere confiscati dallo Stato e che per questo non saranno mai denunciati, la ricerca scientifica godrà di limitati benefici, poiché difficilmente i possessori saranno in grado di indicare topograficamente il luogo di provenienza dei reperti.

5. Lo Stato dovrebbe impegnarsi, a livello sociale ed educativo, allo sviluppo di una cultura della legalità e del rispetto del patrimonio storico-artistico. Quindi, un ennesimo condono a favore di ladri e ricettatori potrebbe ridurre la già precaria fiducia dei cittadini verso le Istituzioni e la Giustizia, oltre ad avere un effetto antieducativo.

6. Considerando che i rischi per ladri, trafficanti e ricettatori di beni culturali sono estremamente limitati grazie a leggi estremamente garantiste e di libera interpretazione, sarebbe fondamentale, a livello deterrente, inasprire le sanzioni penali ed amministrative non solo per i ladri e per i trafficanti d'arte, ma anche per quanti non rispettino i controlli sulla provenienza legale dei beni culturali e per i detentori di manufatti archeologici di illecita provenienza.

7. Per facilitare il rientro in patria di oggetti illecitamente esportati sarebbe più vantaggioso stipulare accordi multilaterali ed attuare una strategia preventiva, con attività di cooperazione sovranazionali, per combattere l'illecita importazione o esportazione dei beni culturali.

8. È indice di una mentalità gretta ed opportunista ipotizzare la possibilità di rimpinguare le casse dello Stato attraverso la remissione di un reato.

Fabio Maniscalco - Direttore Osservatorio Permanente per la Protezione dei Beni Culturali in Area di Crisi dell'I.S.Fo.R.M.

Tel. 0815922443 - 3387011247 email: osservatoriobc@tin.it

Web page: http:// web.tiscali.it/osservatoriobc - http:// web.tiscali.it/mediterraneum_isform

 

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