www.archeosub.it

HOME PAGE

L' VIII International Symposium on Ship Construction in Antiquity
(con alcune considerazioni sulla situazione dell'archeologia marittima del Mediterraneo .... e in Italia)

di Carlo Beltrame

pubblicata su "L'archeologo subacqueo" nel numero di Settembre-Dicembre del 2002

L'International Symposium

L'ottava edizione del simposio internazionale sulla costruzione navale nell'antichità, meglio noto come Tropis (da non confondersi con l'International Symposium on Boat and Ship Archaeology - ISBSA), si è tenuta presso la bella isola di Hydra, in Grecia.

Com'è noto, l'appuntamento triennale è rivolto agli studiosi di costruzione navale per lo più di ambito Mediterraneo. In realtà all'iniziativa prendono parte anche ricercatori impegnati in altri settori che hanno, però, una relazione, a volte, poco vicina al soggetto navale. Questa edizione è andata forse un po' oltre, avendo compreso interventi molto al di fuori del tema.

In ogni caso, c'è da dire che lo sforzo organizzativo di Harry Tzalas, il patron dell'iniziativa, è sempre encomiabile e che quest'anno il numero di comunicazioni è stato altissimo: circa settanta, in sessione unica.

Passiamo brevemente in rassegna alcuni degli interventi. Yacob Kahanov e M. Hadas (CMS-Haifa) hanno analizzato nel dettaglio la carpenteria della nave di Ma'agan Michael, di cui sono attualmente in corso lo studio e la ricostruzione. Ronald Bockius (museo delle navi antiche di Mainz) ha compiuto un excursus sulle varie tecniche per il calafataggio delle navi nell'antichità sia nel Mediterraneo che in centro Europa.

Chi scrive (Università Ca' Foscari di Venezia e della Tuscia di Viterbo), con Dario Gaddi, nel primo intervento ha presentato i primi risultati dello studio analitico della carpenteria della nave romana di Grado, mentre nel secondo ha illustrato il progetto di studio ricostruttivo della nave, dai resti recuperati, attraverso la costruzione di un modello di studio in scala 1:10, modello che servirà sia alla definizione della forma completa dell'imbarcazione che alla ricostruzione dello scafo nel museo ad esso dedicato; il progetto è coordinato dalla Soprintendenza ai Beni A.A.A.A.S. del Friuli Venezia-Giulia.

Giulia Boetto (Università di Aix-en-Provence) ha relazionato sullo studio dell'imbarcazione meglio conservata esposta nel museo di Fiumicino, il relitto 4. La Boetto ha compiuto un'indagine della carpenteria ed uno studio ricostruttivo attraverso un modello.

Edoardo Riccardi ha presentato lo scavo delle navi di Olbia con alcune considerazioni tecnologiche. Sono navi di età romana e di età medievale: le prime sono affondate per cause traumatiche (un incendio ad opera dei Vandali); le seconde sono state riutilizzate come casseforme per la costruzione di una banchina del porto. Eseguito lo scavo e smontati i resti delle imbarcazioni, il materiale sarà restaurato, con una tecnica (ci auguriamo) sperimentata.

Mauro Bondioli e Gilberto Penzo hanno presentato un manoscritto veneziano del XVI secolo, in corso di pubblicazione. Si tratta del Libro de rason de Galie et nave de ogni sorte, di pre' Todaro de Nicolò. A. Oron ha illustrato con esposizione strettamente scientifica il suo studio sulla tecnologia impiegata per la fusione del rostro di Atlit. Andrea Camilli (Soprintendenza archeologica della Toscana) e vari specialisti del CNR e dell'Università-La Sapienza di Roma hanno presentato più interventi sullo scavo di Pisa-San Rossore e su analisi eseguite sulle anfore, sulle pietre di zavorra e sugli spalmi degli scafi.

Christian Brandon (Nautical Archaeology Society) si è soffermato sui motivi che stanno dietro l'impiego del calcestruzzo per la costruzione di alcuni porti romani. Patricie Sibella ha illustrato brevemente l'attività di assistenza archeologica nel corso dell'esecuzione di opere pubbliche presso Bordeaux, che ha portato al rinvenimento di alcuni relitti di età medievale e moderna.

 

Lo stato della ricerca

Prendiamo spunto dal Symposium per sviluppare alcune considerazioni. Il fatto che al convegno di Hydra non siano stati presentati grossi progetti di ricerca di particolare importanza, se non gli italiani di Pisa e di Olbia, deve far riflettere. In tutto il Mediterraneo si registra un periodo di notevole rilassamento dell'attività di ricerca nel settore dell'archeologia marittima, per una mancanza di volontà politica e di finanziamenti. Il problema quindi non riguarda solo l'Italia: ne risente addirittura la Francia, che ha sempre costituito un esempio positivo.

La differenza tra il nostro Paese e gli altri sta però nel fatto che in una situazione del genere la mancanza di strutture statali specializzate che si possano occupare con continuità del patrimonio sommerso, anche in mancanza di adeguati finanziamenti e di spinte politiche, ha portato alla paralisi completa della ricerca e della tutela. In pratica, mancando la volontà e il denaro per incaricare imprese private di eseguire interventi di tutela e ricerca, il settore dell'archeologia marittima italiana si è bloccato - salvo rari casi -quasi completamente.

Inoltre, va registrato un indebolimento di alcuni centri di ricerca stranieri che hanno perduto, per varie motivazioni, ma prevalentemente per pensionamento, validi ricercatori e docenti (vedi George Bass, Richard Steffy, John Morrison, Lionel Casson ecc.) difficilmente rimpiazzabili. Esiste insomma, in alcuni ambienti, un problema di ricambio generazionale, i cui motivi ci sfuggono, che sta producendo un'eccessiva specializzazione, in particolare sul fronte tecnico, a discapito della comprensione generale del contesto sottoposto ad indagine e della sua collocazione nel più ampio quadro storico.

Questa edizione ha visto la partecipazione di un numero notevole di italiani, con un'inversione di tendenza rispetto alle altre annate quando i rappresentanti del nostro Paese erano rari. Ciò ovviamente non significa che alla quantità corrisponda necessariamente altrettanta qualità, come ha dimostrato un intervento di Umberto Pappalardo (Università di Napoli) sulla barca di Ercolano che, a distanza di vent'anni dal rinvenimento, non ha aggiunto un solo elemento al già noto, peraltro molto poco, visto che la barca, appena scavata, venne chiusa nel solito "sudario" di vetroresina dal solito Costantino Meucci dell'Istituto Centrale per il Restauro dove riposa (?) ancora in attesa di un restauro e di uno studio analitico.

Come se non bastasse, l'intervento si è chiuso ricordando la collaborazione allo scavo della barca da parte di R. Steffy che purtroppo non era presente al convegno per motivi di salute. E così oltre al danno di vedersi negato un adeguato contatto con il reperto, malgrado il viaggio dagli Stati Uniti, (a detta di Steffy, egli, all'epoca, dovette "scriversi gli appunti sotto le suole delle scarpe"), il collega statunitense ora deve subire anche la beffa di essere citato come collaboratore del progetto.

Il progetto sulle navi di Pisa

Il convegno poi è stato trasformato in un'occasione per presentare il progetto, finanziato dalla Comunità Europea, "Le navi antiche di Pisa: la grande darsena portuale di Pisa etrusca e romana" di cui il Comune di Pisa è coordinatore. Il finanziamento europeo è di euro 283.378,40, pari al 48% dell'intero ammontare.

Per l'occasione, erano presenti nell'isola il sindaco e il vicesindaco di Pisa che hanno inaugurato una mostra fotografica sulle navi. All'interno della mostra è stata esposta una sorta di copia in legno, in scala 1:1, della c.d. piroga.

Malgrado il manufatto, portato per l'occasione dall'Italia, sia stato presentato come uno strumento "utile ai ricercatori presenti al simposio", in realtà esso costituisce una copia assai poco fedele della barca. I dettagli della carpenteria, ad esempio le giunzioni tra gli elementi delle ordinate, sono stati del tutto trascurati per non parlare dell'assenza delle mortase e dei tenoni, presenti sull'originale.

Insomma si tratta di un oggetto ben poco utile, per non dire fuorviante, per la ricerca mentre di indubbia efficacia per la gioia dei bimbi in visita al futuro museo di Pisa. Era questo il fine dell'operazione?

Ritornando al progetto, esso avrà la collaborazione scientifica della Soprintendenza Archeologica per la Toscana e come partners il museo delle navi di Mainz e l'Hellenic Institute for the Preservation of Nautical Tradition di Atene, ossia l'istituto presieduto da Tzalas organizzatore del simposio.

A questi si dovrebbe aggiungere, in una formula non ben definita, l'Istituto Andaluso del Patrimonio Storico. Alla domanda rivolta ad un rappresentante dell'istituzione greca su quale debba essere l'apporto ellenico al progetto, è stato risposto: «una ricerca bibliografica».

Tale risposta, che si commenta da sola, la dice lunga sul fatto che invece di cercare un valido aiuto in istituzioni con grande esperienza quali quelle danesi, francesi e olandesi, si è andati alla ricerca di un "partnerariato" che, non ce ne voglia, non ha quell'esperienza di restauro di legno bagnato, di documentazione di scafi antichi e di musealizzazione che sarebbe tanto di aiuto al progetto pisano.

A questa critica fa eccezione solo il museo di Mainz che però, a detta del suo staff, sembra avere un peso molto superficiale nel progetto. Francamente ci piacerebbe conoscere le motivazioni di tali scelte e del mancato avvicinamento ad istituzioni solide sul piano tecnico e scientifico quali quelle nord-europee. Si teme forse il confronto o si è imbarazzati per le forti critiche che la gestione del cantiere di Pisa ha suscitato e continua a suscitare nell'ambiente nordico, o che altro?

Apprendiamo, ora, dalla stampa che il Commissario Europeo alla Cultura, signora Viviane Reding, nel corso di una visita allo scavo e alla mostra di Pisa avrebbe sottolineato come «i fondi investiti dell'UE siano stati spesi molto bene» (ANSA 22, 9, 2002).

Eppure, gli interventi su San Rossore presentati al convegno greco sono stati oggetto di numerose domande, poche delle quali hanno avuto risposte soddisfacenti. Le domande sono le stesse che sentiamo ripetere da quasi quattro anni (si legga, ad esempio, l'articolo, a firma di G. Boetto e P. A. Gianfrotta su L'archeologo subacqueo del settembre-dicembre 1999):

1) perché non si è coinvolto almeno un archeologo navale nel cantiere (anche se ne sarebbe servito uno per nave)?

2) perché si è voluto documentare gli scafi senza la consulenza di un esperto di imbarcazioni antiche e rilevandoli come se fossero dei normali oggetti, con tutte le conseguenze del caso?

3) perché si è proceduto alla ricopertura degli scafi con il famigerato "sudario" di vetroresina, dando fiducia ad una tecnica di restauro ideata da C. Meucci dell'ICR, che non ha ancora portato ad alcun risultato (vedi la nave di Comacchio) e che sottrae il manufatto, per decenni, allo studio degli archeologi?

4) perché l'allontanamento di Meucci non ha impedito che le due imbarcazioni meglio conservate rimanessero nelle sue mani? Si ha ancora fiducia nella sua metodologia o si è arrivati ad un compromesso?

5) perché si insiste per recuperare la nave D in un'unica soluzione, malgrado lo scafo non sia ancora stato scavato completamente e non vi siano valide connessioni tra i singoli elementi (a detta degli scavatori, le tavole di fasciame non sarebbero giuntate a mortase e tenoni e i chiodi, oramai corrosi, probabilmente non sono più in grado di svolgere la loro funzione) malgrado molti esperti (ad esempio Fred Hocker) siano dell'opinione che esso andrebbe smontato e documentato con calma?

6) perché, a distanza di quasi quattro anni dal ritrovamento, tutti gli scafi, eccetto uno, sono ancora in situ?

7) quali possono essere le condizioni di conservazione di imbarcazioni di legno che hanno passato quattro estati dentro un guscio di vetroresina con un sistema di irrorazione di dubbia efficacia?

8) perché non si prende in considerazione l'opportunità di integrare la documentazione disponibile prima di recuperare gli scafi?

9) perché non si prende in considerazione la necessità di documentare dettagliatamente le imbarcazioni una volta portate al riparo, prima dell'intervento di restauro?

10) perché si continua a rimanere su una linea di immobilità e di chiusura alla moderna metodologia (che non significa tecnicismo fine a sé stesso) malgrado (sono le parole del Soprintendente) «la spesa messa a disposizione [dal Governo, ndr] per il porto sia il doppio di quella destinata all'intera Toscana» (da La Nazione 23/ 9/2002)?

A queste domande, la direzione del cantiere risponde che tutti i dati sono disponibili per gli studiosi e che presto verranno resi pubblici su internet e che essa è pienamente aperta alla collaborazione. Noi ci permettiamo di replicare dicendo che dati così incompleti saranno di scarsa utilità e che di fatto qualsiasi offerta di collaborazione è stata ignorata.

La direzione dovrebbe saperlo: questo potrà essere il più grande progetto di archeologia navale del mondo oppure il più tragico insuccesso; molte informazioni sono già andate perdute (questo è ad esempio il parere di Patrice Pomey) e numerose sono le perplessità degli esperti, ma un rapido cambio di strategia potrebbe salvare il salvabile: la sopravvivenza del legno delle navi non può ancora attendere.

Carlo Beltrame

 

News
Venezia e isole
Legislazione
Corsi & Convegni
Links
Architalia
Lavoro
Tecnica
Archeoforum
Federazioni
Triveneto - Adriatico
S.O.S.
F.A.A.V.
Archeopolis - servizi

ritorna all'indice generale dei forum

www.archeosub.it