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Mostra permanente didattico-archeologica "Gianna Ravagnan"

BOJON DI CAMPOLONGO MAGGIORE - VENEZIA

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Per segnalazioni e commenti: venezia @ archeosub.it, per informazioni info@archeosub.it 

 

A Campolongo Maggiore (Venezia) per un viaggio virtuale ai tempi di Roma antica.

Mostra permanente didattico-archeologica "Gianna Ravagnan" presso la Galleria-Centro Civico - Via Pio X. La mostra è organizzata dal Gruppo Archeologico Mino Meduaco in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Veneto, il Comune di Campolongo Maggiore con i finanziamenti della Provincia di Venezia.
Questa mostra, intitolata alla memoria della Dott.ssa Gianna Ravagnan, preziosa ideatrice dell'esposizione recentemente scomparsa, si propone di far conoscere in maniera scientifica ma soprattutto pratica, la realtà del territorio della gronga lagunare e di Lova di Campagna Lupia nell'antichità.
Si è cercato di collocare ogni reperto, delle varie sezioni della mostra, nel suo contesto storico;, il visitatore avrà la sensazione di ritrovarsi in quei tempi lontani, usando gli stessi oggetti.


La mostra è stata inaugurata lo scorso mese di dicembre, a Bojon di Campolongo Maggiore (Ve) ed èintitolata alla memoria della Dott.ssa Gianna Ravagnan, in quanto preziosissima ideatrice dell'esposizione, per conto della soprintendenza, e purtroppo recentemente scomparsa.

L'inaugurazione, e le successive aperture, hanno visto oltre mille appassionati varcare la soglia di questa mostra-viaggio, che si propone di far conoscere in maniera scientifica ma soprattutto pratica, la realtà dei territori veneti nell'antichità; entrando nella mostra rimane impresso al visitatore lo sforzo dell'ideatore teso a far comprendere l'uso degli oggetti esposti, con ricostruzioni ambientali, totalmente autoprodotte, che rappresentano autentici pezzi unici creati in occasione dell'esposizione.

La realizzazione dell'esposizione, è avvenuta dal Gruppo Archeologico "Mino Meduaco" di Campolongo Maggiore, nato nel 1990 ed associato al FAAV (Federazione dei Gruppi Archeologici del Veneto). Mino Meduaco conta oggi 35 soci, tutti accumunati dalla passione per la storia ed impegati attivamente nella ricerca e valorizzazione dei beni storici,con la supervisione diretta della soprintendenza, del territorio compreso tra la Riviera del Brenta e la parte sud-est della provincia di Padova.

Tra pochi giorni la mostra offrirà la posibilità di una agile audioguida, su cd-rom in italiano e in inglese, e una guida cartacea di 64 pagine che racchiude le descrizione e le foto di tutti gli oggetti esposti.

La mostra è aperta ogni domenica dalle ore 15.00 alle ore 19.00, ma anche su richiesta, per gruppi/scuole/privati, concordando la visita con il Sig. Alfredo al numero 0495809402.

indirizzo: Galleria - Centro Civico Via Pio X° Bojon di Campolongo Maggiore (Ve)

sito internet: http://www.anto2ni.it/ludovico/minomeduaco/index.html/

mail: minomeduaco@interpuntonet.it.

  

 

Introduzione:

Benvenuti alla Mostra archeologica intitolata al ricordo della Dottoressa Gianna Ravagnan, funzionario della Soprintendenza Archeologica recentemente scomparsa e preziosa ideatrice della nostra mostra.

I reperti archeologici, sia quelli dovuti a ritrovamenti fortuiti, sia quelli frutto di campagne di scavo sistematiche promosse dalla Soprintendenza Archeologica per il Veneto, hanno trovato sistemazione provvisoria nel Centro Civico di Bojon.

In seguito, i materiali archeologici sono stati oggetto di studio, da parte della Soprintendenza, con I'intenzione di creare un'esposizione permanente per la valorizzazione del patrimonio archeologico del territorio compreso tra Chioggia, Padova e Venezia.

E' nato quindi il progetto di creare un percorso museale sulla civiItà romana nel territorio di Campolongo Maggiore, realizzato selezionando i più significativi reperti archeologici della zona.

Scopo deII'esposizione è quello di offrire al visitatore, attraverso ritrovamenti locali, uno spaccato della vita quotidiana in età romana illustrando la casa, le attività domestiche, artigianali e commerciali. Inoltre il percorso museale permette di conoscere più da vicino il mestiere dell'archeologo: sono infatti esemplificate le basilari metodologie archeologiche (tecniche di scavo, stratigrafia, sistemi di datazione, ecc.). I più piccoli, infine, troveranno due giochi da poter svolgere concretamente durante il percorso di visita: un gioco con i cocci (frammenti di ceramica) per conoscere l'età dei materiali, un gioco con le monete per esplorare il mondo della numismatico

Entrando, alla Vostra sinistra vedete in alto una ideale Linea del tempo, con gli eventi che hanno segnato la storia dell'uomo nel mondo, da oggi alla nascita di Cristo; nella parete opposta c'è invece una linea temporale sugli avvenimenti del nostro territorio.

Potete seguire queste descrizioni con il corrispondente pannello (il numero è indicato in alto a sinistra di ogni sezione).

Potete anche premere l'apposito pulsante di "Stop" del lettore cd per interrompere la descrizione oppure saltare da un pannello all'altro a piacimento (il numero progressivo, stampato in alto a sinistra di ogni pannello, corrisponda anche alla traccia sul cd)

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Pannello n° 1: PASSEGGIATA NEL MONDO ROMANO

In età romana i territori dei comuni di Chioggia, Campolongo Maggiore, Campagna Lupia, Camponogara, Vigonovo e Fossò dipendevano dal municipium di Patavium.

Queste zone furono oggetto di un importante intervento tra il 132 e il 131 a.C. da parte del console romano Publius Popilius Laenas: la costruzione della via Popilia, che nasceva probabilmente ad Ariminum (Rimini) e, dopo aver attraversato Atria (Adria), saliva verso Nord per congiungersi con la via Annia nella locaIità di Sambruson.

Alcune foto aeree hanno permesso di evidenziare un tratto della via Popilia che ebbe una vita assai lunga nel suo percorso perilagunare. Restano infatti testimonianze di alcune stazioni di sosta negli itinerari stradali romani del tardo impero. Si trovano qui citate le località di Evrone (presso Vallonga), Mino Meduaco (Lova) e Majo Meduaco (Sambruson).

Queste zone di sosta coincidevano con le foci lagunari di alcuni fiumi presenti nella zona.

Da diversi anni, durante l'attività agricola, caratterizzante il territorio odierno, vengono alla luce materiali attestanti sia una frequentazione preromana (sporadici rinvenimenti), che romana (rinvenimenti più consistenti) dell'area compresa tra Camponogara a Nord e Cavarzere a Sud.

Le testimonianze del popolamento della zona in età romana riguardano soprattutto i primi due secoli dell'lmpero (I - II sec. d.C.) e sono riferibili a numerosi insediamenti a carattere rurale.

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PANNELLO N° 2: CARTA GEOGRAFICA DEL COMUNE con indicazione del vincolo archeologico (evidenziata in giallo) ed il centro Civico, sede dell'esposizione.

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PANNELLO N° 3: LE STRADE E L'IMPERO ROMANO

L'impero di Roma, ereditando la rete viaria già stesa in età repubblicana, sviluppò il più imponente sistema stradale del mondo antico, lungo dei percorsi in parte ancor oggi impiegati. Quello che appare fondamentale chiarire è che nell'ambito del modo romano la strada non rappresentava soltanto un percorso viario, una linea di collegamento tra due o più punti, ma costituiva uno strumento di controllo politico e, preminentemente, una via di penetrazione militare. In altre parole, l'apparato viario romano costituì prima di tutto un supporto logistico mirato all'ampliamento, al consolidamento ed al mantenimento del potere di Roma; solo in un secondo momento venne ad assolvere anche funzioni di traffico privato, in particolare commerciale, e divenne uno strumento di diffusione della cultura latina.

Infatti, oltre alla strada vera e propria, che permetteva rapidi spostamenti dell'esercito, i percorsi di ogni via erano dotati di stazioni di sosta e di pernottamento (rispettivamente mutationes e mansiones) la cui funzione era di rendere agevole ed efficiente il cursus publicus, ossia il servizio pubblico mirato al trasporto di persone e cose appartenenti all'amministrazione dello Stato in ogni parte dell'impero.

Le mutationes erano più frequenti e vi si poteva cambiare gli animali e trovare ristoro. Le mansiones erano poste a distanze maggiori le une rispetto alle altre (generalmente la distanza di una giornata di cammino), ed offrivano, oltre alla possibilità rifocillarsi, anche l'opportunità del pernottamento, ricoveri per gli animali e spazi per la sosta dei carri.

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PANNELLO N° 4: UNA CASA DI CAMPAGNA

Nelle campagne esistevano modeste fattorie e ville di grandi dimensioni, divise al loro interno in una parte dedicata ai lavori agricoli( pars rustica) e una destinata all'abitazione del padrone (pars urbana).

ACQUA DAL POZZO

Inizialmente, le case romane si rifornivano di acqua piovana, che veniva raccolta in un'ampia vasca (impluvium) collocata nel cortile centrale della casa (atrium) e collegata ad una cisterna dotata di pozzo. In seguito si scavarono serbatoi anche in giardini e cortili, spesso in comunicazione tra loro in modo da permettere la depurazione dell'acqua. Per il bagno veniva utilizzata l'acqua delle cisterne, con la quale si riempiva una vaschetta di piombo (castellum aquae) collocata su un pilastro. L'acqua veniva poi distribuita attraverso tubi di piombo o terracotta (fistulae) (oggetti n° e ) che passavano nei muri, per poi sgorgare da tubi di bronzo (calices) regolato da chiavi d'arresto. Un sistema di vasche sopraelevate alimentava i rubinetti d'acqua fredda, mentre quella calda veniva prima riscaldata dalla caldaia. In città, con la creazione degli acquedotti, l'acqua piovana venne usata solo per alimentare bagni e fontane, mentre in campagna continuò ad essere sfruttata assieme a quella delle falde idriche sotterranee, raggiunte grazie a pozzi di cui restano molte testimonianze archeologiche. Per costruire un pozzo esistevano svariate tecniche diverse a seconda del tipo di terreno in cui si scavava. Una di esse consisteva nel rivestire l'interno del pozzo con una "camicia" di mattoni ad arco di cerchio; esistevano, comunque, anche pozzi con rivestimento in pietra, ciottoli di fiume o terracotta. Alla base del pozzo si trovava una piattaforma con un'apertura al centro per l'affioramento dell'acqua.

Nel pannello sono presenti:

la ricostruzione di un pozzo romano

oggetto n° 1: ricostruzione di una serratura

n° 2-3-4 serrature in bronzo di epoca romana

n° 5 serrature (pressochè perfetta) in bronzo di epoca romana con interessante testa di leone

n° 6: cerniera in bronzo

n° 7 e 8: attacco di ansa figurata di situla

n° 9 e 10: tintinnabula (canpanello)

n° 11: porzione di fistula (tubo) acquaria in piombo

n° 12: tubo in terracotta per l'acqua

13+14+15+16:+17: chiodi in ferro e piombo

n° 18: chiave di serratura di valvola (rubinetto) in piombo

n° 19: piccolo sigillo in piombo

n° 20: sigillo in piombo con marchio "Pvllia"

n° 21: bollo su embrice con marchio fabbrica "C FLAVI"

n° 22: frammento di affresco

all'interno della teca, a destra frammento di antefissa con immagine del viso di un neonato (che è stata utilizzata per la presentazione della mostra).

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PANNELLO N° 5: LA CUCINA

Nelle case più piccole la cucina era talora situata nel sottoscala o presso il portico. Il focolare si trovava generalmente in un angolo. Era una specie di bancone in muratura ricoperto di piastrelle di terracotta e collocato sopra una nicchia circolare che serviva a contenere una piccola riserva di legna. Sul focolare coperto di brace e di cenere si ponevano le pentole: sulle braci ben vive le griglie per arrostire e le padelle per friggere a fuoco vivace; sopra un fitto strato di cenere le pentole per la cottura a fuoco lento, per esempio di minestre.

Per la cottura dei piatti esistevano diversi tipi di vasellame. Pentole e casseruole erano per lo più di terracotta e nelle campagne lo restarono a lungo, anche quando si diffuse l'uso di pentole fabbricate con altri materiali, per esempio in ferro come nel grande paiolo di origine celtica, che con la sua singolare sospensione si trovava soprattutto nelle cucine gallo-romane ed è sopravvissuto fino a epoca recente appeso ai camini delle case dei contadini. In ogni cucina non mancavano mai il bollitore per la preparazione dell'acqua calda e tutto l'arredo degli utensili indispensabili per preparare i cibi e cucinare: coltelli, taglieri, trincetti per la carne, grandi cucchiai, mestoli, forchettoni, spiedi, grattugie, mortai, attizzatoi per mantenere vivo il fuoco con le braci di carbone di legna nascoste sotto la cenere del focolare.

Dall'anfora alla brace. Il cibo

Nelle abitazioni e soprattutto nei magazzini delle fattorie le derrate alimentari erano raccolte nei dolia (grossi contenitori in argilla di forma tondeggiante e senza manici) e nelle anfore, in molti casi interrati a metà per garantire loro una migliore conservazione.

Le anfore erano fatte di argilla e potevano essere di grandi dimensioni (1 metro di altezza in media). La loro forma variava ed era legata al contenuto, all'epoca e all'area di produzione, ma presentava sempre una pancia più o meno allungata o rotondeggiante, un collo, dove veniva sistemato un tappo, due grossi manici o anse ai lati del collo e un piede a punta, che era per lo più sottile e non permetteva all'anfora di stare in piedi, ma consentiva a una sola persona di farla girare e di spostarla tenendola per le anse, anche se era piena e pesante. Il peso di un'anfora poteva essere davvero notevole: dai 26 kg circa per un'anfora di vino si poteva arrivare fino a un totale lordo spesso ben superiore ai 50 kg, tenendo conto che anche il peso dell'anfora vuota era piuttosto alto per lo spessore delle pareti che serviva a evitare rotture durante i trasporti.

Nel mondo romano le anfore venivano utilizzate soprattutto per i trasporti commerciali dei prodotti alimentari di grande consumo. La loro forma le rendeva, infatti, particolarmente adatte alle stive delle navi. Al trasporto sul mare provvedevano grosse navi da carico, dette onerarie. Il grande uso delle anfore nell'antichità spiega i numerosi rinvenimenti di anfore integre o frammentarie fatti con scavi, scoperte fortuite o con il recupero dei relitti di navi naufragate.

Le anfore sono spesso delle vere e proprie miniere di informazioni sui rapporti commerciali e i consumi di una determinata località. Su alcune di esse si leggono anche iscrizioni che dichiarano la provenienza, i nomi dei produttori o dei commercianti, la destinazione e il contenuto delle anfore stesse.

Quali erano i generi alimentari trasportati nelle anfore? In primo luogo il vino: nel mondo romano molte erano le regioni produttrici ed esportatrici di vini rinomati, per esempio la Sicilia, la Campania, il Lazio e la Valle del Po (famoso era il Pucinum di Aquileia). Un altro prodotto di largo consumo era l'olio, usato non solo nell'alimentazione, ma anche per l'illuminazione e come unguento. Per questo fu oggetto di un grande commercio, che partiva soprattutto dall'Italia meridionale, dall'Istria, dalla Spagna e dall'Africa del Nord. Nelle anfore veniva poi conservato e commerciato il garum, una salsa molto piccante a base di interiora di pesce prodotta in Spagna, ma anche le fave immerse nell'olio, la farina di fave e le olive.

Sotto il pannello

(indicati con i numeri 23 e 24) vediamo due belle anfore trovate ancora integre.

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PANNELLO N° 6: DENTRO LA CASA

La pianta della più antica casa romana (domus) si componeva di un ingresso con vestibolo (fauces), attraverso cui si passava nel cortile centrale (atrium), nel quale si trovava l'impluvium usato per raccogliere l'acqua piovana proveniente da una corrispondente apertura nel tetto (compluvium). Nell'atrium si trovava anche la cappella per le divinità protettrici della casa (lararium), mentre dai suoi lati lunghi era possibile accedere alle camere (cubicola), di fronte all'ingresso stavano l'ampia sala da pranzo (tablinum) e alcuni ambienti minori (alae). Dal II sec. a.C. le case cominciarono a dotarsi di peristilio (peristilium), un portico a colonne che circondava il giardino, e di triclinio (triclinium), una sala da pranzo in cui si mangiava distesi. La cucina e il bagno non ebbero mai una collocazione ben precisa all'interno della domus.

Nella parte alta troviamo un'antefissa (oggetto di arredo)più in basso un'accurata ricostruzione autoprodotta di mosaico, sulla parte sinistra, a fianco vediamo dei frammenti di affresco

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PANNELLO N° 7: MANGIARE SDRAIATI

Nelle grandi occasioni, la cena si consumava distesi su un letto detto triclinium, consuetudine diffusasi a Roma sotto l'influenza della Grecia. La sala da pranzo era occupata da letti disposti a ferro di cavallo attorno ad una tavola quadrata o circolare, vicino erano collocate delle tavole (mensae) che servivano per deporvi le stoviglie, mentre il vasellame prezioso era esposto su un altro tavolo (abaco). Completavano l'arredamento scanni (sedilia), brucia profumi e supporti per i vasi. L'illuminazione era assicurata dalla presenza di candelabri (candelabra) oppure lucerne fatte di terracotta o di metallo, il mezzo più comune di illuminazione, ed è per questo che gli scavi ne hanno restituito un gran numero. Sono costituite da un beccuccio (rostrum), da cui fuoriesce lo stoppino, e da un corpo (infundibulum) che serve da serbatoio, dotato di un foro in modo da poter rifornire di olio la lampada. Servitori specializzati (scissores) tagliavano e servivano le pietanze, che venivano mangiate con le dita della mano destra. A tavola i Romani non utilizzavano forchette, ma conoscevano l'uso di coltelli, stuzzicadenti (dentiscalpia) e cucchiai (ligulae). Per contenere i cibi si usavano patere e scodelle, per bere coppe con i manici (scyphus) o senza (phiala), boccali e bicchieri (pocolum); venivano utilizzati anche coppe e recipienti a imitazione delle forme Attiche. C'erano, poi, vasi fatti per servire e versare. Il vino, per esempio, era portato in sala da pranzo dentro anfore chiuse e qui veniva mescolato con acqua all'interno di un cratere, un grande recipiente dalla bocca larga in ceramica o bronzo; i servitori riempivano, poi, le coppe con delle brocche o con una specie di mestolo di metallo a manico lungo (simpulum). Esistevano piatti e bicchieri fatti di metalli preziosi o di cristallo e vetro colorato, ma molto più diffuso era il vasellame a buon mercato di ceramica o legno. La ceramica più corrente (ceramica comune) era produzione di un artigianato locale e i suoi costi erano generalmente bassi.. In Veneto, tra le più normali ceramiche comuni si trovano molti esemplari di una ceramica di colore grigio (ceramica grigia), la cui origine precede l'arrivo dei Romani. Un tipo di vasellame da tavola molto diffuso a partire dall'età augustea fu la ceramica aretina (sigillata italica), di colore rosso, di cui esisteva una varietà decorata a rilievo. Nel II e I secolo a.C., c'era stata una ceramica di colore nero ( vernice nera) che imitava modelli greci e, soprattutto nel I secolo d.C., una ceramica detta "a pareti sottili", che imitava le forme del vasellame di vetro o di metallo prezioso.

Oggetti: n° 1, partendo da sinistra, coppa in pasta grigia

N° 2 e 3: frammento di piatto ceramico con vernice nera

N° 4+5+6+7+8: piatti, incompleti, in terra sigillata italica (il numero 8 è interessante perché contiene il "sigillum", marchio di fabbrica

N° 9: coppetta di ceramica a pareti sottili

N° 10: ?

N: 11: frammenti di ceramica a pareti sottili

N° 12: forchetta a due rebbi

N° 13: cucchiaio con apice a pigna

N° 14: forchetta a due rebbi in ferro

N° 15: cucchiaio "coclear" in osso

N° 16: balsamario in vetro

N° 17 collo di bottiglia

N° 18 vediamo una splendida coppetta costolata (ricostruita recentemente)

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PANNELLO N° 8: LA TOILETTE FEMMINILE

Le donne romane si sottoponevano a lunghe sedute per costruire le complesse acconciature che variavano in base alla moda. Vi erano degli schiavi addetti alla preparazione del calamistrum, un tubetto metallico che, riscaldato nella cenere e utilizzato assieme ad una piccola asta di metallo, arricciava e ammorbidiva i capelli. Chi, invece, aveva perso i capelli poteva ricorrere alle parrucche. L'ornatrix aveva il compito di depilare la padrona e dipingerla di bianco sulla fronte e sulle braccia con gesso e biacca, di rosso con ocra o feccia di vino sulle guance e sulle labbra, di nero con fuliggine o polvere di antimonio sulle ciglia o attorno agli occhi. Il "beauty-case" della ornatrix comprendeva: specchio, pettini, forcine, fermagli, parrucche, vasi, boccette, da cui si estraevano pomate e belletti.

L'ABBIGLIAMENTO FEMMINILE

La donna romana indossava una lunga tunica di seta, lana o cotone in colori vivaci. Sopra la tunica indossava la stola con ricami, annodando ai fianchi la cintura (zona) e cingendo le spalle con uno scialle lungo fino ai piedi (supparium) o con il pallium, un mantello quadrato. Gli ornamenti erano costituiti da un diadema portato sopra i capelli, raccolti in una reticella(reticulum), da collane (monile), da catenelle (catellae) da indossare al collo, da braccialetti e anelli. La donna poteva anche portare un nastro rosso porpora tra i capelli (vitta). Al collo portava spesso un fazzoletto (focale) e teneva annodata al braccio la mappa che le serviva per detergere il viso , mentre in mano agitava spesso un ventaglio di piume di pavone (flabellum) o, nelle giornate di pioggia, un ombrello richiudibile (umbraculum).

LA TOILETTE DEL ROMANO

La toilette del romano avveniva presso il tonsor, il barbiere, o presso il dopacista, che detergeva il viso con il dropax, unguento depilatorio in resina e pece. L prima volta che la barba di un giovane veniva tagliata si svolgeva una cerimonia religiosa, la depositio barbae, durante la quale la barba veniva offerta alla divinità come primizia.. In seguito,all' inizio del II secolo d.C., l'imperatore Adriano, per celare una brutta cicatrice, si fece crescere la barba, permettendo anche a sudditi e successori di imitarlo. I lavacri veri e propri si effettuavano nel pomeriggio presso le terme pubbliche o, per i più benestanti, nel balneum privato, dove ci si detergeva il corpo con olii profumati.

L'ABBIGLIAMENTO MASCHILE

L'indumento base dell'uomo romano era costituito dal subligaculum o cinctus, una lunga fascia di lana o di lino che si avvolgeva attorno ai fianchi e passava tra le gambe, sopra al quale veniva indossata la tunica, in lino o lana. Spesso, con i climi rigidi i romani si infilavano due tuniche, dette subucula e tunica exterior; sopra di esse veniva indossata la toga. Mentre in origine la toga era un semplice pezzo di stoffa fissato sul petto o su una spalla per mezzo di una fibula, nel primo periodo imperiale essa diventa un ampio segmento di cerchio di notevoli dimensioni, complicato da indossare. Per questo esisteva uno schiavo, detto vestiplex, addetto all'operazione.Questo indumento era indossato da ogni romano quando usciva in pubblico come cittadino, in quanto attestava il possesso della cittadinanza romana; inoltre, esistevano diversi tipi di toghe a seconda della funzione civile o religiosa per cui venivano indossate.

Oggetti: n° 1 tavoletta per la cosmesi in marmo

N° 2 balsamario in pasta grigia e vetro

N° 3 miscelatori in vetro

N° 4 bicchiere a pareti sottili in ceramica

N° 5: borchia in osso

N° 6, in alto frammento , e relativa ricostruzione in osso

N°7 perle in pasta vitrea

N° 8 anelli digitali in bronzo

N° 9: fibule, di varia misura e fattura, in bronzo

N° 10 pettine in rame

N° 11 orecchino in bronzo

N° 12 falere in bronzo

N° 13 amuleti di tipo fallico in bronzo

N° 14 anelli di fibbia in bronzo

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PANNELLO N° 9:

LE ATTIVITA' DOMESTICHE: LA FILATURA E LA TESSITURA

La filatura

Il filo utilizzato per tessere le stoffe era ottenuto da fibre vegetali (lino, ortica) o animali (lana di pecora o di capra). La filatrice avvolgeva sulla conocchia un ammasso di fibre grezze che veniva disteso e aperto, formando un batuffolo. Iniziava, poi, a muovere con le dita le fibre provenienti dalla conocchia, le quali venivano ritorte dal fuso, fatto girare fino a formare il filo, che veniva, in fine, avvolto e preparato per essere tessuto.

La tessitura

Il telaio era costituito da una struttura in legno con due pali verticali infissi nel terreno, sui quali erano impostati altri due pali in senso orizzontale. Al palo orizzontale superiore era fissata una bacchetta di legno che reggeva i fili verticali (ordito), tenuti in tensione da pesi di terracotta. La tessitura consisteva nel far passare in senso orizzontale tra l'ordito un filo continuo avvolto da un bastoncino (spola o navetta) per formare la trama; un pettine di legno o in osso serviva a regolare e unire l'intreccio.

Oggetti: N° 1 modello, ricostruito su disegni dell'epoca di telaio verticale

N° 2 vari pesi da telaio in terracotta.

N° 3 fusaiole in bronzo

N° 4 fusaiole in terracotta

N° 5 rocchetto in piombo

N° 6 ditali in bronzo

N° 7 ago in bronzo

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PANNELLO N° 10: VIVERE IN CAMPAGNA

I romani coltivano soprattutto la vite, l'olivo, i cereali, gli ortaggi e gli alberi da frutto. Nel II secolo a.C. esistono soprattutto piccole e medie aziende contadine dove lavorano le famiglie dei proprietari e raramente dei braccianti salariati, la cui produzione è destinata all'autoconsumo. Con lo sviluppo dell'economia monetaria, l'espansione nel Mediterraneo e l'aumento dell'afflusso di schiavisti sviluppano nuove strutture basate sullo sfruttamento del lavoro schiavile e sulla produzione per il mercato: la villa schiavistica arriva ad essere la forma di sfruttamento agricolo più avanzata di tutta l'antichità classica. Tuttavia, il sistema entra in crisi tra I e II secolo d.C. e gli schiavi vengono rimpiazzati in misura sempre maggiore da lavoratori liberi (coloni), che pagano un affitto al proprietario terriero.

LA CENTURIAZIONE

Nel veneto con l'arrivo dei Romani le attività legate alla lavorazione della terra modificano la loro organizzazione, in quanto le terre da distribuire ai coloni vengono delimitate mediante un regolare tracciato di linee parallele e perpendicolari tra loro (decumani e kardines) : si ottiene così la centuriazione del territorio. In seguito alla regolare lottizzazione del terreno si moltiplicano le opere idrauliche per prevenire gli impaludamenti. Il territorio veneto induce ad ipotizzare, in età romana, la presenza di vari insediamenti rurali, alcuni dei quali riducibili allo schema della villa urbano-rustica.

GLI ATTREZZI AGRICOLI

Arare, sarchiare, scavare

Il principale attrezzo agricolo era l'aratro, costituito da un ceppo al quale erano fissati il vomere e il timone su cui era fermato il giogo per i buoi o per i tori. Per rompere il terreno si usava la vanga, per sarchiare la zappa.

Frangere e conservare

Per fare l'olio si schiacciavano le olive nel frantoio, quindi si pigiavano in un torchio a leva. Analogo era il funzionamento del torchio da uva per il vino.

Potare, vendemmiare, mietere, trebbiare

Gli strumenti da taglio erano falcetti e falci per grano e erba, roncole e coltelli per la potatura e la vendemmia. Per trebbiare si usava un'asse con chiodi o punte di selce (tribulum), che si passava sul grano steso sull'aia.

Oggetti: n° 1 coltello

N° 2 ascia ad alette

N° 3 roncole

N° 4 zappe

N° 5 utensile. Tutti gli oggetti sono in ferro.

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PANNELLO N° 11:

PESI E BILANCE

Altri strumenti di uso comune nell'ambito di un mercato erano ovviamente i dispositivi impiegati per pesare. In questo ambito possiamo includere i pesi veri e propri, basati sul sistema ponderale romano schematizzato qui di seguito, e le bilance.

libra (gr. 327.45)

uncia (gr. 27,28)

scupulum (gr. 1,137)

1

12

288

1

24

Nel mondo romano le bilance erano di due tipi fondamentali: la bilancia a bracci uguali (denominata trutina) e la stadera (statera), generalmente preferita per la sua maggiore praticità in sede di commercio.

La prima era costituita da un braccio, denominato giogo, cui erano agganciati in vario modo due piatti. Il principio per suo funzionamento consisteva nel trovare un equilibrio tra un carico variabile posto su uno dei due piatti ed uno o più pesi posti sull'altro piatto. Era utilizzata generalmente per la pesatura di precisione di elementi minuti, quali monete o metalli preziosi.

La stadera, invece, possedeva un solo piatto agganciato ad un braccio graduato lungo il quale si faceva scorrere un solo peso a varia distanza dal fulcro in modo da determinare il valore del carico posto sul piatto. Aveva una vastissima gamma di impieghi e spesso i pesi cursori recavano raffigurazioni, generalmente di divinità o di animali, a volte anche di grande raffinatezza.

Il controllo su entrambi questi tipi di strumento era riservato allo Stato che tramite appositi magistrati provvedeva a tarare bilance e stadere e quindi a legittimarne l'impiego in ambito pubblico.

Oggetti: Nella parte alta vediamo i pesi per stadera "statera" ,nella parte bassa i pesi per bilancia a bracci uguali " trutina".

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PANNELLO N° 12:

LE MONETE

 

1. PREZZI E SALARI

Affrontare il tema dei prezzi nell'ambito dell'impero romano risulta estremamente complesso soprattutto per chi voglia presentare un quadro articolato ed omogeneo.

Le fonti antiche riguardanti questo argomento, infatti, oltre ad essere estremamente scarse, non di rado sono discordanti tra loro. Ciò ovviamente non deve stupire, poiché, analogamente a quanto avviene oggi, anche anticamente il prezzo di beni e servizi (ossia la quantità di denaro necessaria all'acquisto di mercanzie o al pagamento di prestazioni quali ad esempio le lezioni di un maestro) variava secondo le diverse aree geografiche in cui si suddivideva l'antico Impero romano ed in base alle epoche.

Inoltre, le testimonianze antiche che citano i costi di merci o attività spesso sono piuttosto generiche e non è raro che queste esprimano il prezzo di un tipo di mercanzia ma non la quantità acquistata: come esempio in tal senso si veda questa "lista della spesa" rinvenuta a Pompei (C.I.L., IV, 8561):

lard(i) a(ssibus) III lardo 3 assi

vinum a(sse) I vino 1 asse

cas(e)um a(sse) I formaggio 1 asse

oleum a(sse) I olio 1 asse

panem a(ssibus) II S. pane 1 asse e 1 semisse

suar(ium?) a(ssibus) IIII carne di maiale (?) 4 assi.

Appare chiaro, dunque, che le notizie che si possono trarre da tali fonti devono essere riferite ad un preciso contesto sociale, geografico e cronologico.

Inoltre, risulta assai difficoltoso, se non del tutto vano, il tentativo di rapportare i prezzi antichi con quelli attuali, considerando la mutata capacità di acquisto della moneta e soprattutto le differenti funzione ed importanza degli oggetti e dei vari mestieri.

Malgrado queste premesse, si cerca di fornire qui di fianco una panoramica, per quanto sommaria e frammentaria, del costo di vari generi di prima necessità e di altre mercanzie, nonché di alcuni salari.

I prezzi sono desunti da epigrafi pompeiane (datate dunque entro il 79 d.C.) e da testi di alcuni tra i più noti poeti e scrittori romani (Orazio, Petronio e Marziale), tutti riconducibili al I sec. d.C.

Possiamo pertanto immaginare di entrare in un mercato di Pompei di circa 2000 anni fa per effettuare degli acquisti. Per avere un utile termine di paragone si consideri che in questa città, secondo recenti valutazioni, la somma necessaria al mantenimento giornaliero di una persona di condizioni modeste consisteva in 8 assi circa.

IL SISTEMA MONETARIO ROMANO IMPERIALE

Tra gli strumenti di uso comune nell'ambito di un mercato romano in età imperiale c'era la moneta, già all'epoca mezzo di scambio principale anche per le transazioni minute.

La nascita della monetazione romana imperiale si fa convenzionalmente coincidere con la riforma monetale dell'imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.): questi, una volta impadronitosi del potere volle porre rimedio al caos monetario generato dalle guerre civili successive alla morte di Cesare (44 a.C.), proponendo, attorno al 23 a.C., un assetto che rimase pressoché stabile per oltre due secoli e mezzo.

In realtà, con questa riforma il sistema ereditato dalla precedente epoca repubblicana non subì sostanziali modifiche, ma fu reso più omogeneo grazie ad emissioni più regolari e, soprattutto, ad un rigido sistema di equivalenze illustrate qui di seguito:

La moneta fondamentale su cui si basava tutto il sistema fu il denario, un nominale d'argento quasi puro, inizialmente del peso di circa 3,9 grammi (es. n. 1). Il suo multiplo in oro restò il denarius aureus o semplicemente aureus, mentre i sottomultipli furono il sesterzio (es. n. 2) e il dupondio, entrambi in oricalco (una lega di rame e zinco simile all'odierno ottone), assieme all'asse (es. n. ) ed al quadrante, battuti in bronzo (lega di rame e stagno): queste quattro monete valevano rispettivamente 1/4, 1/8, 1/16, 1/64 di denario. In un secondo momento fu introdotta una nuova moneta chiamata semisse del valore di mezzo asse o di due quadranti.

Il sistema romano imperiale può forse apparire complicato agli occhi di noi moderni abituati ad un assetto monetario decimale, ossia basato sulla divisione per 10 dell'unità monetaria (nel nostro caso la lira oppure, tra poco, l'euro). Quello romano imperiale, invece, era un sistema duodecimale, nel quale il denario si poteva suddividere per dodicesimi, o meglio per numeri divisori di 12, in particolare il 4. In altre parole, fatta eccezione per l'aureo che costituisce un'anomalia, i rapporti di cambio di tutti gli altri nominali (denario, sesterzio, dupondio, asse e quadrante) si impostavano in pratica sul numero 4.

 

PREZZI E SALARI

Affrontare il tema dei prezzi nell'ambito dell'impero romano risulta estremamente complesso soprattutto per chi voglia presentare un quadro articolato ed omogeneo.

Le fonti antiche riguardanti questo argomento, infatti, oltre ad essere estremamente scarse, non di rado sono discordanti tra loro. Ciò ovviamente non deve stupire, poiché, analogamente a quanto avviene oggi, anche anticamente il prezzo di beni e servizi (ossia la quantità di denaro necessaria all'acquisto di mercanzie o al pagamento di prestazioni quali ad esempio le lezioni di un maestro) variava secondo le diverse aree geografiche in cui si suddivideva l'antico Impero romano ed in base alle epoche.

Inoltre, le testimonianze antiche che citano i costi di merci o attività spesso sono piuttosto generiche e non è raro che queste esprimano il prezzo di un tipo di mercanzia ma non la quantità acquistata: come esempio in tal senso si veda questa "lista della spesa" rinvenuta a Pompei (C.I.L., IV, 8561):

lard(i) a(ssibus) III lardo 3 assi

vinum a(sse) I vino 1 asse

cas(e)um a(sse) I formaggio 1 asse

oleum a(sse) I olio 1 asse

panem a(ssibus) II S. pane 1 asse e 1 semisse

suar(ium?) a(ssibus) IIII carne di maiale (?) 4 assi.

Appare chiaro, dunque, che le notizie che si possono trarre da tali fonti devono essere riferite ad un preciso contesto sociale, geografico e cronologico.

Inoltre, risulta assai difficoltoso, se non del tutto vano, il tentativo di rapportare i prezzi antichi con quelli attuali, considerando la mutata capacità di acquisto della moneta e soprattutto le differenti funzione ed importanza degli oggetti e dei vari mestieri.

Malgrado queste premesse, si cerca di fornire qui di fianco una panoramica, per quanto sommaria e frammentaria, del costo di vari generi di prima necessità e di altre mercanzie, nonché di alcuni salari.

I prezzi sono desunti da epigrafi pompeiane (datate dunque entro il 79 d.C.) e da testi di alcuni tra i più noti poeti e scrittori romani (Orazio, Petronio e Marziale), tutti riconducibili al I sec. d.C.

Possiamo pertanto immaginare di entrare in un mercato di Pompei di circa 2000 anni fa per effettuare degli acquisti. Per avere un utile termine di paragone si consideri che in questa città, secondo recenti valutazioni, la somma necessaria al mantenimento giornaliero di una persona di condizioni modeste consisteva in 8 assi circa.

 

IL SISTEMA MONETARIO ROMANO IMPERIALE

Tra gli strumenti di uso comune nell'ambito di un mercato romano in età imperiale c'era la moneta, già all'epoca mezzo di scambio principale anche per le transazioni minute.

La nascita della monetazione romana imperiale si fa convenzionalmente coincidere con la riforma monetale dell'imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.): questi, una volta impadronitosi del potere volle porre rimedio al caos monetario generato dalle guerre civili successive alla morte di Cesare (44 a.C.), proponendo, attorno al 23 a.C., un assetto che rimase pressoché stabile per oltre due secoli e mezzo.

In realtà, con questa riforma il sistema ereditato dalla precedente epoca repubblicana non subì sostanziali modifiche, ma fu reso più omogeneo grazie ad emissioni più regolari e, soprattutto, ad un rigido sistema di equivalenze illustrate qui di seguito:

La moneta fondamentale su cui si basava tutto il sistema fu il denario, un nominale d'argento quasi puro, inizialmente del peso di circa 3,9 grammi (es. n. 1). Il suo multiplo in oro restò il denarius aureus o semplicemente aureus, mentre i sottomultipli furono il sesterzio (es. n. 2) e il dupondio, entrambi in oricalco (una lega di rame e zinco simile all'odierno ottone), assieme all'asse (es. n. ) ed al quadrante, battuti in bronzo (lega di rame e stagno): queste quattro monete valevano rispettivamente 1/4, 1/8, 1/16, 1/64 di denario. In un secondo momento fu introdotta una nuova moneta chiamata semisse del valore di mezzo asse o di due quadranti.

Il sistema romano imperiale può forse apparire complicato agli occhi di noi moderni abituati ad un assetto monetario decimale, ossia basato sulla divisione per 10 dell'unità monetaria (nel nostro caso la lira oppure, tra poco, l'euro). Quello romano imperiale, invece, era un sistema duodecimale, nel quale il denario si poteva suddividere per dodicesimi, o meglio per numeri divisori di 12, in particolare il 4. In altre parole, fatta eccezione per l'aureo che costituisce un'anomalia, i rapporti di cambio di tutti gli altri nominali (denario, sesterzio, dupondio, asse e quadrante) si impostavano in pratica sul numero 4.

Il controllo su entrambi questi tipi di strumento era riservato allo Stato che tramite appositi magistrati provvedeva a tarare bilance e stadere e quindi a legittimarne l'impiego in ambito pubblico.

Oggetti presenti:

n° 1 denario in argento

n° 2 sesterzio in bronzo

n° 3 asse in bronzo

n° 4 quadrante in bronzo

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PANNELLO N° 13:

RITI FUNEBRI E SEPOLTURE

La religione romana dava molta importanza al culto dei morti, scandito da precise usanze e rituali.

Il funerale

Il defunto veniva lavato, unto di olio e mirra e avvolto in un panno funebre. Veniva poi disposto con i piedi verso la porta di casa e spruzzato d'acqua con rami d'alloro per essere purificato; veniva quindi intonato un lamento funebre (ululatio).

La cremazione

Nella cremazione indiretta il cadavere veniva bruciato in un luogo specifico della necropoli (ustrinum), con in bocca la moneta che pagava il viaggio per l'aldilà (naulum).

La pira era poi spenta col vino e le ossa raccolte e deposte nel sepulcrum assieme al corredo funebre. I resti potevano essere contenuti in un'urna di terracotta, un'anfora segata e coperta da un embrice, un'urna in vetro. Durante la cremazione diretta, invece, il defunto veniva bruciato direttamente nella fossa di sepoltura. Il sepulcrum conteneva anche gli oggetti più cari al defunto, disposti in modo rituali e fondamentali per determinarne il sesso. La cerimonia di sepoltura si concludeva il nono giorno con un banchetto funebre nei pressi della sepoltura e culminava con il sacrificio di un maiale offerto ai Lari.

L'inumazione

Il rito dell'inumazione si diffonde in Italia settentrionale a partire dal III secolo d.C. per motivi legati alla diffusione delle religioni misteriche e del Cristianesimo. La sepoltura poteva avvenire in terra nuda , in tombe in laterizio o legno; il morto era deposto in posizione supina e il corredo era sistemato nella tomba in punti precisi. Verso il IV-V secolo d.C. le tombe cominciarono ad essere raggruppate in file, identificate con cippi o stele, con un orientamento est/ovest.

Al centro vediamo un esempio di tomba ad incenerizione, con l'uso di un'anfora segata, ed il corredo funebre all'interno dell'anfora rappresentato da due balsamari, una fibula in bronzo, la classica moneta un anello in bronzo ed un'olla in ceramica.

Al centro della sala vediamo la ricostruzione di una tomba ad incenerizione indiretta ad anfora segata, con all'interno corredo funebre costituito da una fibula ed un anello in bronzo, 2 balsamari parzialmente fusi carboni con resti di ossa combusti del defunto, una olla. Il tutto era coperto, e protetto da un embrice che è stato ritrovato intero.

A fianco della ricostruzione troviamo un elemento decorativo in marmo di recinto sacro, raffigurante una donna che sorregge un cesto.

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PANNELLO N° 14:

LA MORTE INFORMA SUL PASSATO

Un elemento da cui è possibile trarre molte informazioni nello studio delle antiche sepolture è il corredo funerario. Infatti, gli oggetti più preziosi e cari venivano inseriti nell'urna, mentre il resto veniva disposto attorno ad essa; oppure, in caso di inumazione, gli oggetti personali si trovavano nelle loro posizioni reali. Nella composizione dei corredi di età romana esistono delle costanti, legate a motivi religiosi. Vi era spesso il naulum, una moneta per pagare il pedaggio per l'aldilà, detta anche "obolo di Caronte"; una lucerna, oggetto simbolico legato ai valori della vita e della luce, spesso rovesciata a indicare un nesso tra l'estinguersi della fiamma così come della vita. Molto presenti sono anche il balsamario, servizi di vasellame ritualmente spezzato, forse a simboleggiare la fine della vita, amuleti, portafortuna e tintinnabula.Fra gli oggetti personali vanno considerati gli ornamenti, i giocattoli, i profumi e i cosmetici, gli attrezzi da lavoro; ci sono, in fine, varie testimonianze della presenza di anfore che contenevano cibi, bevande o, se poste fuori dalla sepoltura, che fungevano da segnacolo.

Dallo studio del corredo funebre, quindi, è possibile capire a quale periodo storico la tomba risalga, se appartenga ad un uomo o a una donna e che funzione esso/a ricoprisse nella società in cui viveva, nonché il suo status sociale.

L'archeologia delle persone

Oltre all'archeologo, anche l'antropologo fisico si occupa dello studio delle sepolture, con lo scopo di stabilire il sesso e l'età dei defunti esaminandone i resti. Il migliore indicatore del sesso è la forma del bacino, differente nel maschio e nella femmina. Tuttavia è possibile utilizzare anche le altre parti dello scheletro, in quanto le ossa dell'uomo sono più grandi e robuste di quelle della donna. Per quanto riguarda i bambini, non è possibile stabilirne il sesso con la stessa sicurezza degli adulti. Per quanto riguarda l'età dell'individuo, i migliori indicatori sono i denti, di cui viene studiato il livello di crescita e di logoramento. Anche le ossa vengono utilizzate per stabilire l'età del defunto, utilizzando una scala di tempo che si basa sui diversi momenti in cui le ossa si saldano nello scheletro. Se, invece, restano solo piccoli frammenti di ossa, si può osservarne la struttura a microscopio, infatti, man mano che si invecchia, l'architettura delle ossa cambia in modo distinto e misurabile.

Lo studio delle sepolture risulta molto importante per l'archeologia, in quanto la documentazione che proviene dalle necropoli è la più ricca e meglio conservata; inoltre, una singola tomba si rivela essere una vera e propria miniera di informazioni sul singolo individuo, mentre l'insieme di tutte le sepolture può fornire dati importanti riguardanti lo studio dell'intera comunità ad esse connessa.

Oggetti: n° 1: 3 urne cinerarie in ceramica comune

N°2 coppa biasnata in ceramica grigia,

n° 3: lucerna in ceramica comune

n° 4 moneta asse in bronzo

n° 5 balsamari in vetro e ceramica

n° 6 tavoletta per cosmetici in marmo

n° 7 punta di freccia in ferro

n° 8 campanello "tintinnabula"

n° 9 fibule in bronzo e ferro

n° 10: coltello in ferro

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PANNELLO N° 15:

STORIE DALLA TERRA

Il territorio in cui viviamo e, di conseguenza, il terreno che gli archeologi indagano scavando sono il risultato di una continua trasformazione dovuta a fenomeni naturali e attività umane. Lo scopo della ricerca archeologica è quello di ricostruire la storia della presenza umana su un territorio partendo dai segni che questa vi ha lasciato, esaminando il terreno e la sua stratificazione, ossia l'insieme degli strati sovrapposti in modo orizzontale che, nel corso del tempo, hanno fatto innalzare il livello di quel terreno.

IL METODO ARCHEOLOGICO

La formazione della stratificazione archeologica è dovuta a due fenomeni:la distruzione (erosione) e la costruzione (accumulo). Accumuli ed erosioni, costruzioni e distruzioni trasformano continuamente il paesaggio, ma in questa evoluzione ci sono periodi di attività e periodi di pausa, in cui il paesaggio formato viene abitato. In campo archeologico, i periodi di pausa nella crescita della stratificazione rappresentano le "fasi di vita" di un paesaggio, un edificio, uno strato. Una stratificazione archeologica è costituita da molte componenti diverse, definite unità stratigrafiche (US).

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PANNELLO N° 16:

LO SCAVO STRATIGRAFICO

Il lavoro dell'archeologo consiste nel distinguere i segni delle attività umane di costruzione e distruzione dalle azioni naturali di accumulo ed erosione e dai momenti di pausa tra queste attività. Lo scavo scientifico prende il nome di scavo stratigrafico, e non solo rimuove il terreno ma anche lo indaga. Infatti, durante lo scavo l'archeologo "smonta"la stratificazione individuando gli strati che la compongono e togliendoli uno alla volta seguendo un ordine inverso a quello della loro formazione. In questa operazione di "smontaggio" verrà individuata e scavata per prima l'unità stratigrafica più recente, cioè quella che si è formata per ultima e che copre le altre unità stratigrafiche ma non ne è coperta. Prima di rimuovere lo strato, però, è necessario che l'archeologo individui e definisca i limiti dell'unità stratigrafica da togliere, per poi documentarla con disegni e fotografie. Durante lo scavo si raccolgono anche i materiali contenuti negli strati; si tratta di un'operazione molto delicata, in quanto l'appartenenza di un reperto a uno strato piuttosto che a un altro è determinante ai fini della datazione dell'unità stratigrafica stessa. Per questo motivo i reperti di strati diversi vengono tenuti ben separati tra loro, mettendoli in cassette diverse dotate di cartellino su cui è indicato il numero dell'unità stratigrafica di provenienza.

LA DOCUMENTAZIONE

Lo scavo di ogni singolo strato è un momento distruttivo e irripetibile. Tutto il bagaglio di informazioni che una US può contenere viene rilevato solo nel corso dello scavo e tutto ciò che l'archeologo non è in grado di distinguere e documentare al momento dello scavo è perduto per sempre; per questo è necessario raccogliere una documentazione accurata e adeguata. Esistono due tipi di documentazione: la documentazione scritta e quella visuale (grafica e fotografica). La documentazione scritta consiste nella compilazione di una scheda per ogni unità stratigrafica individuata, mentre quella visuale è costituita da fotografie e disegni, che hanno una funzione diversa: le fotografie mostrano gli strati così come si presentano alla vista, mentre i disegni permettono all'archeologo di evidenziarne i tratti più significativi. A questo scopo si utilizzano piante, che arricchiscono le informazioni contenute nelle schede di unità, e sezioni, che forniscono informazioni sullo spessore degli strati e offrono un'immagine chiara del formarsi delle stratificazioni.

LA SEQUENZA STRATIGRAFICA

Gli archeologi riordinano le informazioni ottenute con lo scavo allo scopo di ricavarne un più completo significato storico. Per fare ciò viene disegnato uno schema della stratificazione, facendo molta attenzione ai rapporti fisici tra gli strati che la compongono; questo schema si chiama matrix o diagramma stratigrafico. Capire le relazioni esistenti tra strato e strato, cioè i rapporti stratigrafici, permette di capire la successione degli strati e di arrivare a una sequenza cronologica della loro formazione. Da dei rapporti fisici tra gli strati ( lo strato 1 copre lo strato 2) si passa a dei rapporti cronologici (lo strato 1 si è formato dopo lo strato 2). E' importante tener sempre presente che, in linea di massima, quello che è avvenuto prima sta in basso, mentre quello che è avvenuto per ultimo si trova in superficie. Il diagramma stratigrafico serve proprio a chiarire i rapporti di temo tra gli strati e, quindi, a formare una cronologia relativa, dalla quale poi sarà possibile passare ad una cronologia assoluta( datazione degli strati).

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PANNELLO N° 17:

LO STUDIO DEI MATERIALI

Lo studio dei manufatti permette di datare uno strato; per farli, l'archeologo deve controllare tutti i reperti raccolti in quello strato, assegnare loro una cronologia e individuare quelli più recenti, perché sono proprio essi a fornire il "terminus post quem" per la formazione dello strato. Tuttavia, questo non è sufficiente per datare uno strato ,che potrebbe essersi formato anche molto dopo quella data: occorre dunque stabilire anche un "terminus ante quem", che può essere indicato, per esempio, dalla data di uno strato che copre quello che vogliamo datare oppure da una struttura che lo ha parzialmente distrutto.

DATARE I REPERTI CON LA TIPOLOGIA

La maggior parte dei reperti recuperati negli strati durante uno scavo è fatta di frammenti ceramici. La ceramica, infatti, per la sua natura quasi indistruttibile e per il suo scarso valore, è oggi abbondantissima tra i materiali archeologici. Si è sviluppata così la tipologia della ceramica, cioè lo studio delle caratteristiche dei vasi e la loro classificazione in base alla forma, alle dimensioni, alle decorazioni e al tipo. Gli studiosi di ceramica partono dall'osservazione dei vasi individuando in essi parti fondamentali, ossia l'orlo, il collo, le pareti, il fondo e il piede. Gli archeologi distinguono un tipo sulla base di particolari modi di fare alcune delle parti del vaso, mentre per individuare forme diverse osservano quelle caratteristiche legate alla funzione di una particolare forma di vaso. Grazie a questi studi siamo oggi in grado di distinguere una ceramica greca da una romana e possiamo anche conoscere lo sviluppo di alcune produzioni e assegnare loro una cronologia relativa .Lo studio comparato delle produzioni ceramiche è riuscito ad assegnare loro anche una cronologia assoluta; la presenza di tali produzioni è dunque una guida preziosa per la definizione della sua cronologia.

I SISTEMI DI DATAZIONE ASSOLUTA

Alcuni metodi scientifici permettono di scoprire la cronologia assoluta dei reperti organici come le ossa, il carbone, i resti di cibo, il legno. Questi metodi sono l'analisi del carbonio 14 e la dendrocronologia.

La datazione con il radiocarbonio (C14) si basa su un vero e proprio "orologio radioattivo". Le radiazioni cosmiche che bombardano la terra reagiscono con l'atmosfera producendo atomi di C14, instabili e a decadimento regolare, la cui concentrazione rimane costante nell'atmosfera. Questa concentrazione si trasferisce nella biosfera terrestre attraverso l'anidride carbonica. Solo quando un animale o una pianta muoiono cessano di assorbire C14, la cui concentrazione nell'organismo, dunque, comincia a diminuire a ritmo costante, con una velocità di dimezzamento pari a 5730 anni. M.isurando in laboratorio la quantità di C14 rimasta nel campione è, dunque, possibile determinarne l'età al momento della morte.

La dendrocronologia, invece, si basa sul fatto che la maggior parte degli alberi produce un anello di legno nuovo ogni anno a questi anelli di accrescimento possono essere facilmente identificati nella sezione di un tronco tagliato. Questi anelli modificano il loro spessore in base all'età dell'albero e alla variazione delle condizioni climatiche; per questo, alberi della stessa specie che crescono in una stessa area presentano la stessa sequenza di anelli, che può essere confrontata con quella di frammenti di legname sempre più antiche fino a ricostruire

l'andamento della crescita degli alberi in un'area, che può risalire indietro nel tempo per centinaia o perfino migliaia di anni a partire dai giorni nostri.

LA CERAMICA

Il gioco, da poter svolgere individualmente o a piccoli gruppi, consiste nel riuscire a sistemare i frammenti di ceramica, contenuti nella ciotola, nella loro giusta posizione della scala.

Questo deve avvenire attraverso un confronto tra le caratteristiche del pezzo e la definizione tecnica posta sulla fronte di ogni gradino della scala

 

PREZZI E SALARI

Gioco numismatico

Il gioco consiste nel riconoscere e capire il valore delle monete romane imperiali, attraverso la lettura del pannello n° 12 e rispondendo a delle semplici domande.

 

Territorio anno 2000

In questo pannello sono rappresentati i nostri territori ai giorni d'oggi.

E' evidente la trasformazione rispetto al passato.

E' indispensabile riflettere su quanto l'uomo ha modificato il proprio ambiente.

 

Lavagna

 

In queste lavagne è possibile, al termine della visita , lasciare un commento oppure un suggerimento per migliorare la mostra stessa.

 

Il Gruppo Archeologico Mino Meduaco Vi ringrazia della visita e Vi porge i migliori saluti.

 

Il Gruppo Archeologico "Mino Meduaco" opera come associazione di volontariato nel territorio a sud-ovest della provincia di Venezia ed ad est di quella di Padova su di un' area di circa 50 kmq. E' sorto nel 1990 e gli iscritti sono attualmente trentacinque, tutti accomunati da una passione: la ricerca delle testimonianze del passato. Il G.A. ha scoperto oltre 200 siti, molti di epoca romana, alcuni di epoca paleoveneta e del bronzo, abbracciano un periodo che parte dal 1300 a.C. Prima di queste scoperte poco si sapeva della storia del nostro territorio. Il G.A. ha aperto una finestra sul passato per riscoprire la vita, gli usi ed i costumi dei nostri antichi antenati.

 

ATTIVITA'

Lo scopo principale del G.A. è quello di raccogliere tutte le testimonianze ed i reperti che man mano vengono ritrovati in superficie, di conservarli e di metterli a disposizione della Soprintendenza e degli studiosi. Le attività del G.A. vanno dal controllo del territorio con la segnalazione dei nuovi ritrovamenti, alla ricerca di superficie dopo le arature dei terreni. I rapporti di collaborazione con gli Enti locali hanno consentito di organizzare un punto di raccolta presso la sede del G.A. stesso. Il G.A. collabora strettamente con la Soprintendenza nell'attività di campagne di scavo, ed ha partecipato nel per tre anni consecutivi, ad un importante campo di ricerche e studi a Omisalj (Castelmuschio) nell'isola di KRK (Veglia) in Croazia, nell'ambito di un progetto dell' UNESCO per la salvaguardia e il recupero delle piccole città costiere dell'Alto Adriatico. Il G.A. è attualmente impegnato, con una parte dei reperti custoditi e grazie ad un finanziamento della Provincia di Venezia, nella custodia e visita guidata di un antiquarium, che è utilizzato dal grande pubblico, (dall'apertura, avvenuta lo scorso dicembre, ha visto oltre 1.000 visitatori) come percorso didattico sulle attività quotidiane degli antichi. Il G.A. opera anche nella scuola sia con lezioni sulla storia antica della nostra zona, sia con attività pratiche quali ricerche di superficie guidate e laboratori di ceramica e di restauro per la realizzazione di ceramiche, su modelli antichi, avvalendosi dell'esperienza e disponibilità di maestri ceramisti iscritti (in quest'anno scolastico sono 12 le scuole, anche con sedi lontane, che frequentano i nostri corsi).

 

RICERCHE

Oltre alle ricerche di superficie che avvengono settimanalmente, il G.A. è coinvolto in campagne di scavo, aiutando gli archeologi professionisti in vari recuperi. I ritrovamenti più recenti, nel corso dei lavori di rifacimento di canali irrigui, sono stati una serie di pozzi di epoca romana e paleoveneta. In altre occasioni il G.A. ha individuato importanti strutture di epoca antica, affiancando a lungo gli archeologi nelle operazione di scavo.

 

REPERTI e RESTAURO

Tutti i reperti conservati nella sede del G.A. sono stati rinvenuti nelle ricerche di superficie o in recuperi di emergenza. Non ci sono oggetti di alto valore venale, ma sicuramente di grande interesse archeologico per ricostruire la vita delle antiche popolazioni locali. I reperti sono raccolti in appositi contenitori e dopo accurata pulizia vengono numerati e dove possibile ricomposti. Recentemente sono state restaurate e catalogate da esperti del settore 150 monete antiche, altre 200 monete attendono il restauro e la catalogazione.

 

INIZIATIVE

Il G.A. ha partecipato, invitato dalla Provincia di Venezia, al Secondo Salone dei Beni Culturali presentando il CD-ROM: "Navigando tra il Mino e il Maio appunti di ricerca di un Gruppo Archeologico". Questo interessante strumento multimediale offre una sintesi delle attività svolte dal G.A., con particolare riferimento alle ricerche di superficie, ritrovamento di monete, catalogazione di bolli. Il G.A. ha preparato una rassegna stampa con tutti gli articoli pubblicati dai giornali a carattere locale e nazionale riguardanti le attività del G.A. stesso, inviandone copia a tutti i comuni limitrofi, alle biblioteche ad agli altri G. A. Il G.A. è riuscito a costituire una piccola biblioteca tematica, ed oggi grazie anche alla donazione di un iscritto ha intenzione di aprirla a tutti gli appassionati di storia.Il G.A. ha organizzato per la seconda volta varie mostre monografice e una serie di laboratori in occasione di varie feste locali.

 

Il G.A. è aperto al contributo di tutti per realizzare quelle iniziative volte a riscoprire e far conoscere gli usi ed i costumi degli antichi abitatori del nostro territorio, nella convinzione che la conoscenza delle colture diverse di ieri renda tutti noi più tolleranti verso le culture diverse di oggi.

 

Per incontrarci : Venerdì dalle 21.00 alle ore 23

c/o Centro Civico via S. Pio X°, 14

Bojon di Campolongo Maggiore (VE)

Per contattarci : Tel. 049 972 5139 E-mail: minomeduaco@interpuntonet.it

Per segnalazioni urgenti : Tel. 328 954 6808 oppure 349 733 0087

 

 

 

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