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  distanziatore PUNTA TAGLIAMENTO (VE): si recupera oggi dal brigantino napoleonico Mercurio un cannone in bronzo (24.08.05)

Il brigantino Mercure prende forma e vita tra le sabbie dei fondali marini al largo di Punta Tagliamento, e costringe gli esperti navali e gli storici a "rivedere" le conoscenze su queste veloci navi da guerra.
E il risultato più sorprendente della terza campagna di archeologia sottomarina del nucleo di archeologia subacquea Nausicaa della soprintendenza del Veneto in collaborazione con il dipartimento di Scienze dell' antichità di Ca' Foscari di Venezia che questa mattina toccherà il momento più emozionante con il recupero di un piccolo cannone in bronzo di un metro, un'assoluta novità per la tipologia del brigantino francese, mai citato dai registri d'Oltralpe.

Al largo di Punta Tagliamento, dove il litorale veneto sfuma all' orizzonte, si consumò la trappola-imboscata tesa dai servizi segreti di sua Maestà britannica scatenando la terribile e cruenta battaglia di Grado, che si rivelò decisiva per il controllo dell' Adriatico da parte dell'Inghilterra sulla nascente flotta del giovane Regno d'Italia: era l'alba del 22 febbraio 1812 quando il Mercure, agli ordini del tenente di vascello Zuanne Palincucchia, affondò portando in fondo al mare tutti i suoi segreti.

Un oblio durato quasi due secoli, fino al 22 febbraio 2001 quando le reti del peschereccio della famiglia Scala di Marano Lagunare recuperarono accidentalmente una "carronata', ossia uno dei 16 pezzi di artiglieria a canna corta con cui era armato il Mercure: quel giorno, oggi giustamente considerato storico, fu scoperto il più antico (per ora) relitto di nave battente bandiera italiana del periodo pre-unitario, quando cioè c'era il Regno d'Italia retto dal viceré Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone. E altre tre carronate, giusto un anno fa, furono recuperate con una spettacolare operazione-salvataggio, momento clou della seconda campagna di scavo.

"Quest'anno abbiamo concentrato le indagini in due punti", spiega Carlo Beltrame, archelogo navale, docente di Archeologia marittima a Ca' Foscari, che conduce sul campo lo scavo che ha la direzione scientifica di Luigi Fozzati di Nausicaa. «Una è nella zona principale del relitto, dove è stata individuata bene la prua del Mercure; l'altra è a un centinaio di metri di distanza, e dovrebbe trattarsi della zona di poppa».

L'equipe del professor Beltrame, con la partecipazione allo scavo-scuola -unico in Italia di una media di quattro studenti, il supporto della ditta Caressa di Grado e l'insostituibile contributo del nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco di Trieste, ha messo in luce la cosiddetta ruota di poppa, cioè quella caratteristica curvatura della chiglia cui si agganciava il timone, che ne seguiva la forma, con le cosiddette femminelle: proprio nell'area di poppa, insieme alle indagini geologiche sulla sedimentazione del fondale e lo studio della duna al piedi della quale si è adagiato il relitto a 18 metri di profondità, si indirizzeranno gli sforzi di ricerca nell'ultima settimana di scavo (si chiude il 31 agosto), quest'anno reso possibile con un finanziamento del ministero per i Beni culturali e la sponsorizzazione della Dragaggi di Marghera e della Cressi Sub.

Ma le novità più sorprendenti arrivano dalla prua. «Ormai ci possiamo fare un'idea precisa dello scafo, in fasciame di quercia ricoperto fino alla linea di galleggiamento da una lamina di rame», conferma Beltrame. «Molti le parti dell'attrezzatura recuperate quali pulegge di bozzelli delle manovre, di varie dimensioni, e lande, cioè le staffe di metallo di collegamento tra lo scafo e il sartiame, nonché elementi metallici di collegamento delle parti dello scafo. Abbiamo proceduto a un saggio in profondità constatando che sotto la sabbia lo scafo molto ben conservato è di almeno un metro e mezzo: veramepte eccezionale». E poi la prua: «E emersa tutta la ruota di prua, molto simile a quella di poppa, e abbiamo recuperato due dei quattro oculi di cubia, cioè quei tubi in piombo (due per lato della nave) che foravano il fasciame e permettevano lo scorrimento delle catene delle ancore, una delle quali è stata già rinvenuta. Proprio questo dettaglio ci ha convinti che eravamo nella zona di prua».

Sempre qui, l'altra eccezionale scoperta: due cannoni in ferro lunghi due metri e mezzo, e uno più piccolo in bronzo. «Ciò conferma l'importanza dell'archeologia navale, perché dà indicazioni che la letteratura ingegneristica non ci ha tramandato.

Finora infatti si pensava che i brigantini fossero armati solo con le carronate. Qui invece abbiamo la presenza di altri due tipi di armamenti pesanti. I due canoni lunghi, per i tiri a lunga gittata erano posti in prua, ma potevano essere spostati in poppa in caso di inseguimento. E poi il prezioso cannone in bronzo, materiale raramente usato all'inizio dell'Ottocento. Non vediamo l'ora di poterlo studiare bene». Questa mattina il cannoncino in bronzo verrà recuperato con una delicata operazione di pescaggio e poi sarà a disposizione degli esperti.

Gli oggetti ritrovati

Molte le suppellettili personali: bottiglie in vetro comune e una bottiglietta più preziosa, forse usata per contenere unguenti; ceramica e fine vasellame. Bottoni per le giubbe, una pipa, ma sono stati trovati anche altri oggetti tra cui due anelli d'oro e una collanina pure d'oro.

La storia di Zuanne Palinicucchia comandante affondato con la nave

Mentre gli archeologi ridanno forma e vita al Mercure, Gianfranco Marzin, un appassionato studioso di Portogruaro, nel Veneziano, sta recuperando alla storia la figura del suo comandante, il tenente di vascello Zuanne Palincucchia. «11 comandante del Mercure», spiega, «apparteneva a una famiglia "Bocchese" (Bocche di Cattaro, Albania Veneta) di antica tradizione marinaresca». Nel 1757 capitan Alessandro Palincucchia comandava la nave armata Flora; capitan Antonio Palincucchia partecipò invece alla guerra russo-turca (1768-1770), lasciando l'insegna veneta e passando con i russi, e per questo dichiarato alla Serenissima "reo di Stato"; dal 1770 al 1791 capitan Rinaldo Phlinicucchia fu al comando del pubblico sciabecco Mercurio e dal 1791 al 1792 capitan Niccolò Palincucchia della pubblica galeotta Impaziente.

«La storia di Zuanne Palincucchia», scrive Marzin, «inizia nel 1796 quando, giovane "primo piloto", era al comando del pubblico cutter brich (brigantino cutter) Castore, costruito in Arsenale dal proto Carlo Novello, unità con la quale uscì in crociera il 6 agosto 1796. Caduta la Repubblica (1797), e dopo la breve presenza dell'Austria (1798-1805), tornati i francesi, nel primo Regno d'Italia il nostro Zuanne Palincucchia nel 1806 era al comando con il grado di tenente di fregata della polacca La Leggera, inquadrata nella forza della Marina reale del dipartimento del Levante, diretto dal capitano di fregata Antonio Armeni. L'unità, armata di 8 cannoni, e con un equipaggio di 31 marinai e 13 cannonieri, era un vecchio legno varato nell'aprile 1795, preda di guerra».

Entrati gli inglesi in Adriatico (1809) e da loro occupate Zante e Cefalonia, il viceré Eugenio de Beauharnais ordinò al ministro della Marina di richiamare a Venezia da Cattaro l'Armeni e di far riunire la sua flottiglia a quella di Zara dei Costanzi. Il 10 marzo 1810 ordinò al Costanzi di proteggere il cabotaggio verso le coste istriane inviando due unità, un canotto armato e la polacca La Leggera, il comando della quale venne affidato, il 15 marzo, a "un ufficiale che non resti in porto ...", l'alfiere di vascello Aycard (al quale «si voleva in realtà togliere il comando dei marinai della Guardia Reale».

Probabilmente così, col nuovo grado di tenente di vascello, Zuanne Palinicucchia si trovò al comando del nuovo acquisto, il brigantino Mercure, già in linea a Venezia dall'agosto 1809, sopra il quale partecipò alla vittoriosa azione sul porto di Lissa (22 ottobre 1810) e dove mori, alla punta di Grado, la notte tra il 21 e il 22 febbraio 1812».

(fonte: Il Gazzettino)

 

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mar rosso

  pallinodistanziatore MAR ROSSO: Ecografia e ambulatorio subacqueo: i primati dell'Ifc-Cnr (17 agosto 2005)

L'Istituto di Fisiologia Clinica (Ifc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa impegnato, nelle attività della linea di ricerca di Tecno-scienze, ha realizzato la prima ecografia realizzata a 30 metri di profondità.

Un Master, unico in Europa per formare specialisti medici per le attività subacquee; il primo "ambulatorio" subacqueo del mondo sperimentato nel Mar Rosso; due campioni del mondo di apnea impegnati con i ricercatori del Cnr per sviluppare nuovi strumenti diagnostici in profondità. Sono alcuni punti di eccellenza dell' attività della linea di ricerca di Tecno-scienze dell'Istituto di Fisiologia Clinica (Ifc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa.

Il team dell'Ifc &endash; quattro medici, due ingegneri, un fisico e un tecnico, coordinati dall'ingegner Remo Bedini &endash; è impegnato in un'iniziativa senza precedenti per colmare con strumenti innovativi e ricerche biomediche avanzate (esami ecografici, elettrocardiogrammi e spirometrie) i principali limiti della medicina subacquea e iperbarica, finora fondata su pochi dati statistici, non sempre rilevabili con il necessario rigore scientifico senza un adeguato supporto strumentale.

Da Sharm el Sheikh a Ustica, da Livorno a Taranto, l'Ifc ha tra l'altro effettuato per la prima volta un'ecografia in mare fino a 30 metri di profondità su soggetti in apnea e con autorespiratore, grazie a speciali mute subacquee dotate di una 'finestra' sul petto coperta con materiale polimerico (detto gergalmente 'baccalà'), brevettato dal Cnr così come l'intero sistema ecografico. I ricercatori dell 'Ifc-Cnr hanno inoltre messo a punto sistemi holter subacquei ed una metodologia standardizzata per lo studio dell'impegno cardiocircolatorio in apnea, realizzando registrazioni anche oltre i 50 metri di profondità.

Per gli studi dell'apparato respiratorio sono stati inoltre messi a punto un innovativo spirometro subacqueo e strumentazione specialistica per misure da effettuarsi direttamente su navi e/o piattaforme appoggio durante test su soggetti in immersione.

Queste ricerche hanno potenzialmente impresso una svolta determinante nello studio delle patologie subacquee e nella prevenzione degli incidenti, di cui beneficeranno da subito gli oltre cinque milioni di subacquei attivi solamente in Europa (senza contare i sub 'domenicali'). Il progetto dell'Ifc ha ottenuto il sostegno di enti tra cui Regione Toscana, Marina Militare, Comune di Piombino, San Raffaele di Taranto, Vigili del Fuoco, delle principali industrie biomediche italiane, di centri di ricerca e assistenza subacquea internazionali.

In particolare, sottolinea l'ing. Bedini, "la collaborazione con l' Ambasciata italiana in Egitto, il Consolato onorario di Sharm el Sheikh e le autorità del Sinai ci ha consentito di realizzare e provare il prototipo del primo ambulatorio diagnostico subacqueo al mondo nel Mar Rosso, dove, nonostante il tragico attentato del luglio scorso, abbiamo intenzione di proseguire la nostra attività. Tra le iniziative in cantiere c'è la creazione di un sistema d'intervento sanitario italiano (da affiancare a quello egiziano) che veglierà sulle 3.500 immersioni che si svolgono quotidianamente a Sharm". A Sharm, l'Ifc ha realizzato gli esperimenti avvalendosi della collaborazione di Umberto Pelizzari, fondatore dell'Apnea Academy, e del campione mondiale di apnea (meno 135 metri) Carlos Coste.

Sulla base delle risultanze scientifiche del progetto, Pisa ospiterà a novembre il primo master universitario di secondo livello in medicina subacquea ed iperbarica, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e la Scuola del Nuoto e delle Attività Subacquee dell'Università di Chieti diretta dal professor Piergiorgio Data (il ricercatore che ha seguito le gesta di mitici apneisti come Maiorca e Majol), che sarà l'unico riferimento accademico europeo del settore. L'Ifc, con Apnea Academy e Università di Chieti, ha organizzato sempre a Pisa anche "Blue 2005", la prima Conferenza mondiale sull'apnea subacquea, dal 1 al 4 dicembre 2005 (www.blue2005.ifc.cnr.it).

Per informazioni: Remo Bedini, Ifc-Cnr, tel. 050-3152286, 348-3972174, email: bedini@ifc.cnr.it

(Fonte: Capo ufficio stampa Cnr: Marco Ferrazzoli)

 

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  pallinodistanziatore ISOLA DI CIPRO: Scoperta la seta più antica in ambito mediterraneo (9.08.05)

Scoperta dell'Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc) del Cnr nel sito archeologico di Pyrgos-Mavroraki, dove già nel II millennio a. C. si lavorava un filato prodotto dal lepidottero Tortrix viridens endemico dell'Egeo insulare, in alternativa alla più costosa seta da baco cinese.

Seta 'selvatica' in alternativa a quella cinese, più raffinata ma costosa. Un caso di 'concorrenza' che ricorda quasi il mercato globale del tessile contemporaneo ma che risale al 1850 a.C. e vede protagonista il complesso industriale cipriota di Pyrgos-Mavroraki. Nell'isola, il team della missione archeologica dell'Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc) del Consiglio nazionale delle ricerche, diretto da Maria Rosaria Belgiorno, ha scoperto alcune fibre di 'seta tortricida', un ritrovamento che attesta la conoscenza di questa tecnica tessile in ambiente mediterraneo già all'inizio del II millennio a.C., quando la seta vera e propria, quella del lepidottero Bombix mori, era prodotta e lavorata solo in Cina. Il segreto dell'addomesticamento e della coltivazione dei bachi da seta fu, infatti, conservato gelosamente dai cinesi fino al VI secolo d.C, quando alcune uova furono portate in Europa da due monaci, nascoste nei loro bastoni da viaggio.

fibra di seta
La fibra di seta al microscopio

"La seta tortricida rinvenuta a Pyrgos" spiega la dott.ssa Belgiorno "proviene dal bozzolo tessuto dalla larva del lepidottero Tortrix viridens, endemico dell'Egeo insulare, su foglie di quercia o di pino. Le rarissime fibre sono state riconosciute dal prof. Giuseppe Scala, ordinario di Merceologia tessile dell'Università di Firenze, che alcuni anni fa aveva identificato un frammento di seta tortricida tra i reperti tessili provenienti da Pompei". Le fibre rinvenute nella pompeiana Casa di Polibio, però, risalgono al I secolo d.C., mentre la scoperta avvenuta a Pyrgos ha un ben maggiore "valore storico, poiché conferma l'ipotesi avanzata dall'archeologo greco Cristos Doumas, direttore degli scavi di Akrotiri a Thera (isola di Santorini, nelle Cicladi, in Grecia), secondo cui la lavorazione della seta nel Mediterraneo orientale era diffusa già nel tardo Minoico (XVI-XVII secolo a.C.). L'ipotesi era finora basata sul rinvenimento ad Akrotiri di un bozzolo calcificato, attribuito a una specie di lepidottero mediterraneo simile alla tortrice, la Pachypasa otus". Quelle di Pyrgos sono invece le più antiche fibre di seta 'selvatica' (1850 a.C.) rinvenute in un contesto mediterraneo, come dimostrano le osservazioni al microscopio e le analisi scientifiche effettuate. La lettura al microscopio (400 ingrandimenti) dei frammenti ha tra l'altro permesso di riconoscere residui di una sostanza colorante blu e verde, visibile nelle immagini telerilevate.

Ma questo tessuto era solo uno dei tanti prodotti che usciva da Pyrgos, dove aveva sede un vero e proprio 'polo industriale' ante litteram (II millennio a.C.), che ha già restituito rarissime testimonianze sulla lavorazione e produzione di olio d'oliva, vino, profumi, tinture per tessili, rame e ceramiche. Il complesso dimostra che Cipro possedeva già in epoca preistorica insospettate conoscenze tecnologiche.

Per informazioni: Maria Rosaria Belgiorno dell'Itabc &endash; Cnr, tel. 06/90672689, cell. 347/2740436; Missione archeologica Cipro, tel. 0035799828650, mariarosaria.belgiorno@mlib.cnr.it, mavroraki@hotmail.com

(Fonte: Ufficio stampa Cnr - Sandra Fiore)

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pallinodistanziatoreLIDO DI VENEZIA: Scoperto il relitto di una torpediniera italiana dei primi del novecento (6.08.05)

Una vecchia torpediniera italiana "88 S" classe Schichau di quaranta metri antecedente alla Prima Guerra Mondiale è stata scoperta, nei giorni scorsi, a sei miglia nautiche al largo del Lido.

Il relitto si trova a circa venti metri di profondità.

La scoperta è stata fatta da Andrea Falconi a bordo dell'unità idrografica "Milvus" di proprietà della Sitmar-sub Cam idrografica.

Il ritrovamento è avvenuto casualmente, mentre erano in corso alcuni trasferimenti dopo le riprese della troupe di "Linea Blu" ospitata a bordo della "Milvus", imbarcazione di ricerca di venti metri.

La sofisticata strumentazione di bordo di cui è dotata l'imbarcazione ha segnalato la presenza di un relitto. Verifiche più precise hanno poi permesso di accertare che si trattava di una torpediniera italiana.

Nessuno, però, fino ad ora sapeva che un'imbarcazione del genere, con una lunghezza di addirittura 40 metri, si trovasse sui fondali del Lido.

Ricerche hanno stabilito che la torpediniera italiana '88 S.' era stata costruita su licenza tedesca dal cantiere Ansaldo di Genova. Varata nel 1888, poi, dopo diversi servizi nel mar Tirreno, dal 1907 in poi venne assegnata a Venezia.

Affondata, secondo le ricerche storiche effettuate, per una collisione contro pontone che stava tentando di sollevare il sommergibile austroungarico "UB 12, affondato 18 agosto del 1915 dopo aver urtato una mina.

Il ritrovamento è stato denunciato alla Capitaneria di Porto ed alla Soprintendenza. Ora gli enti compiranno sull'imbarcazione alcune analisi e verranno avviate ricerche storiche e determinare il numero delle eventuali vittime.

(Fonte: IL Gazzettino)

inpag

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