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Il recupero della motovedetta albanese A-451

L'operazione compiuta dalla Impresub mostra la necessità di mezzi specialistici per operare in mare

di Gianmarco Veruggio

Responsabile del Reparto Robotica presso l'Istituto per l'Automazione Navale di Genova del Consiglio Nazionale delle Ricerche

pubblicata su "TECNOLOGIE TRASPORTI MARE" nel numero di ottobre del 2001

per gentile concessione dell'editore e del curatore della rubrica lo stesso Gianmarco Veruggio

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Come abbiamo spesso ricordato, non esiste un unico robot che possa svolgere qualunque tipo di intervento e l'esecuzione di operazioni in mare deve venire affrontata, come in ogni altro settore tecnologico, mediante mezzi specializzati.

Prendiamo in considerazione ad esempio la logistica necessaria per risolvere un problema piuttosto complesso: recuperare la motovedetta albanese A-451 affondata in circostanze misteriose al largo del Porto di Brindisi e il cui relitto giaceva a 800 metri sul fondo del Canale di Otranto.

Il recupero del relitto era stato ordinato dall'Autorità giudiziaria italiana per rendere possibile l'accertamento delle eventuali responsabilità.

La plancia della motovedetta fotografata dal ROV

L'operazione era particolarmente difficile non solo perché si doveva operare ad 800 m, una profondità proibitiva senza sofisticati mezzi tecnologici, ma anche perché era stato espressamente richiesto che il relitto dovesse riemergere intatto per consentire le indagini dei periti.

Per realizzare questo delicato compito l'Impresub di Trento - una società specializzata in lavori subacquei in alto e basso fondale nei settori dell'idrografia, della geofisica marina, della protezione ambientale e dell'off-shore - ha progettato una metodologia di intervento basata, anziché sui tradizionali palloni o contenitori, su uno specifico ed originale sistema di sollevamento robotizzato.

Si tratta di una zattera anulare, lunga 27 metri, progettata e costruita espressamente per circoscrivere la motovedetta. La struttura rettangolare, composta da otto scomparti di tubolare metallico, è dotata inferiormente di due paia di braccia meccaniche per imbrigliare lo scafo e di 4 motori, fissati nella parte superiore dei 4 vertici, che hanno permesso di posizionare con precisione l'attrezzo intorno al relitto.

Prima di iniziare la fase di recupero, è stato necessario uno studio preparatorio.

Innanzitutto il sito è stato accuratamente analizzato mediante sonar per determinare la posizione del relitto e permettere l'installazione di un poligono acustico necessario al posizionamento dinamico dei mezzi di recupero.

Successivamente il sito è stato ispezionato mediante un ROV, che è stato calato per filmare e fotografare non solo la disposizione e le condizioni del veicolo, ma anche gli oggetti circostanti.

L'ispezione ha mostrato che la barca era intera e posata in assetto normale su un fondale fangoso.

È stato quindi possibile calare il sistema e posizionarlo con precisione intorno al relitto, dopo di che le braccia meccaniche hanno afferrato la parte inferiore della chiglia e il tutto è stato sollevato con cavi alla velocità di 5 m al minuto.

Si tratta, come vediamo, di una tecnologia innovativa sviluppata per un caso specifico, ma che può avere applicazioni anche in altri settori che richiedono accuratezza e precisione di intervento, come per esempio il recupero di reperti archeologici o di manufatti contenenti scorie tossiche o nucleari.

Il sistema in superficie al termine del recupero

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