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IL MARE È L'AMBIENTE PIÙ DIFFICILE IN CUI SVILUPPARE ROBOT INTELLIGENTI  

La robotica in ambiente estremo

""La costruzione di sistemi robotici intelligenti deve seguire un approccio dal basso verso l'alto, in cui lo sviluppo della macchina avviene dal livello fisico che corrisponde alle funzioni vitali, aggiungendo progressivamente livelli che contengono funzioni superiori"

di Gianmarco Veruggio

Responsabile del Reparto Robotica presso l'Istituto per l'Automazione Navale di Genova del Consiglio Nazionale delle Ricerche

pubblicata su "Media 2000" nel numero n. 187, anno XIX-5, Giugno 2001

per gentile concessione dell'autore ing. Gianmarco Veruggio

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Gianmarco Veruggio, ingegnere elettronico e ricercatore del CNR-Istituto Automazione Navale dal 1983, è il Responsabile del Robotlab che ha fondato nel 1989. È stato Responsabile Scientifico dei progetti Europei AMADEUS 1 & 2 e ARAMIS. Ha guidato due campagne di Robotica Marina in Antartide durante la IX Spedizione Italiana nel 1993-94, e la XIII Spedizione nel 1997-98. Le sue ricerche sono indirizzate allo sviluppo di Sistemi Robotici Intelligenti. È professore a contratto di Robotica Marina al DIST dell'Università di Genova. È impegnato in progetti di disseminazione e formazione scientifica.

 

 

Nel settembre del 2000 il team del Robotlab, il Reparto Robotica del CNR-IAN di Genova, era alla fonda nelle acque dell'isola greca di Milo, sul punto dove il robot Romeo si sarebbe immerso per investigare le "sorgenti idrotermali sottomarine" che sgorgano numerose dalle pendici di quell'antico vulcano. Il mare della baia di Palehori era calmo, nonostante la tempesta che si era abbattuta su tutto l'Egeo proprio in quei giorni. A mano a mano che Romeo si avvicinava ai fondali, sui monitor delle console di superficie, collegate al veicolo, si vedevano sgorgare dalla sabbia le bollicine di gas, segno inequivocabile della presenza di attività vulcanica sottomarina.

Romeo doveva scendere sul fondale ed effettuare una completa indagine del sito con il payload specificamente costruito per quella missione. Il compito più delicato era portare gli strumenti a contatto del fondale per permettere ad un campionatore di penetrare nel sedimento ed effettuare misure e carotaggi. Questo necessitava di una grandissima precisione nel controllo del moto del robot che, come un elicottero o un veicolo spaziale, doveva avvicinarsi al sito, collocarsi con precisione sopra la sorgente, effettuare un contatto morbido col fondale e mantenere quella posizione con estrema precisione in modo da permettere alle sonde di penetrare nel sedimento.

Qualunque movimento sbagliato avrebbe provocato la rottura degli strumenti. L'operazione riuscì perfettamente, tra la soddisfazione degli ingegneri che avevano progettato il sistema e degli scienziati che avevano a disposizione un nuovo aiutante per le loro ricerche.

 

L'esecuzione di una missione di questo genere coinvolge un gran numero di abilità diverse, come sa ogni subacqueo esperto. Occorre innanzitutto un'estrema precisione nel controllo dei propri movimenti, ma anche la capacità di calcolare con accuratezza la propria posizione relativa all'ambiente circostante. Bisogna in sostanza riprodurre la capacità dei pesci di stare fermi nell'acqua oppure di spostarsi e ruotare in ogni direzione di un centimetro alla volta.

Questo è reso complesso dal fatto che il robot si muove per mezzo di eliche dal comportamento idrodinamico difficilmente prevedibile a bassa velocità. In più, vi è il problema che questa precisione di movimento non è relativa al fluido in cui nuota il robot, ma al fondo. Poiché nel mare l'acqua è in continuo movimento, per via di correnti che vanno da pochi centimetri ad alcuni metri al secondo, stare fermi rispetto al fondo significa in realtà muoversi nel fluido in modo da compensarne gli spostamenti. Per calcolare la propria posizione, un robot dovrà quindi essere dotato, come un delfino, di sistemi ad ultrasuoni che sentono continuamente la forma e la posizione del fondale e degli ostacoli. Ma, quando è necessario effettuare un docking o manipolare un oggetto, bisognerà utilizzare sistemi di visione basati su telecamere o laser, i quali permettono di stimare con maggior precisione i moti relativi degli oggetti. Come vedremo, la coordinazione di tutte queste abilità richiede già una notevole dose di intelligenza, anche se siamo ancora parecchio lontani da un'intelligenza di tipo superiore, confrontabile con quella umana.

 

Occorre infatti osservare che tra gli ambienti che i robot devono affrontare, il mare è certamente il più difficile. Questo non solo perché, come già visto, abbiamo un veicolo a sei gradi di libertà in equilibrio idrostatico in un fluido in continuo movimento, ma anche perché tale fluido assorbe rapidamente tutte le radiazioni elettromagnetiche, tra cui la luce, per cui non possiamo vedere né con gli occhi né col radar i contorni lontani della scena, e neppure possiamo usare il GPS per conoscere la posizione, o la radio per comunicare con la base. Questo rende inevitabile porsi il problema di come fanno i pesci a sopravvivere in quell'ambiente, sfruttando al meglio quello che mette a disposizione la natura.

 

La Robotica Marina è dunque uno dei settori in cui è indispensabile spogliarsi dei propri condizionamenti per tentare di costruire un'intelligenza robotica non necessariamente analoga a quella dell'uomo. Chi ha detto infatti che l'intelligenza di un robot debba essere simile alla nostra? Quanti tipi di intelligenza esisteranno, nella mente dell'uomo e nell'universo?

Il delfino, per fare un esempio vicino a noi, è un mammifero dal cervello estremamente sviluppato, ma non è ancora chiaro quale tipo di intelligenza possieda, dal momento che la comunicazione tra lui e uomo non è ancora possibile, se non in piccola misura. Eppure il delfino ha tante funzioni superiori: gioca, impara, comunica ed ha una vita sociale complessa. Per questo, noi robotici dobbiamo essere realisti e procedere con umiltà, un passo alla volta, consapevoli delle difficoltà dell'impresa. Credo che chi riuscirà a costruire un robot autonomo, complesso anche solo come la formica, meriterà il premio Nobel, anche se per qualche strano motivo l'ingegneria viene a volte considerata meno "scienza" della fisica o della medicina.

 

La storia dell'umanità è infatti segnata dallo sviluppo delle macchine: l'uomo ha sempre costruito congegni per aumentare la propria potenza e diminuire la fatica del lavoro. Nell'ultimo secolo vi è stato un aumento impressionante della complessità ed efficienza delle macchine; inoltre, con l'avvento dell'elettronica e dei computer, sono stati sviluppati sistemi sempre più automatizzati. Stiamo quindi vivendo un nuovo capitolo della storia della macchine, storia che affonda le proprie radici molto indietro nel passato. Ritroviamo il sogno di costruire automi nella mitologia greca, laddove si parla di statue animate che facevano la guardia al labirinto di Dedalo; e, più ingegneristicamente, nel libro De Automatis, in cui Erone di Alessandria descrive meccanismi automatici di notevole complessità.

 

La sfida odierna della Robotica è quindi la costruzione di sistemi robotici intelligenti, in grado di percepire ed agire in un ambiente reale e imprevedibile, per eseguire in modo autonomo attività utili all'uomo. Col che, entriamo nel cuore del problema dell'intelligenza, ovvero la capacità del robot di risolvere un problema posto dal suo padrone-uomo, portando a termine senza aiuto la missione per la quale è stato costruito. In tal caso, la macchina dovrà inventare soluzioni che non ha ricevuto dall'uomo, ma che in qualche misura è stata in grado di sintetizzare autonomamente in risposta ai problemi, agli stimoli, agli imprevisti incontrati. Intelligenza dunque come capacità di adattarsi all'ambiente creando soluzioni nuove ed originali, almeno nell'ambito delle esperienze e della storia di quella macchina. Con un barlume di creatività, dunque, perché in tal caso il robot creerà un nuovo comportamento che risolverà una situazione non prevista in dettaglio dal progettista.

 

Questo tipo di intelligenza richiede, da un lato, grande capacità di percezione, di analisi, di interpretazione e di comprensione dell'ambiente, dove per comprensione intendiamo costruire nella propria memoria elettronica una mappa dello scenario in cui si deve operare, mappa non presente all'inizio della missione. Il robot deve dunque capire come è fatto un ambiente che non conosceva prima, e all'interno di quell'ambiente, sulla base del proprio patrimonio di comportamenti programmati o innati, sintetizzare strategie atte a risolvere i problemi incontrati. Ovviamente, grazie alla sua memoria, la macchina non dimenticherà strategie già elaborate, e la seconda volta che si presenterà un problema già risolto, si ricorderà la soluzione e la adotterà, esibendo dunque una sorta di apprendimento.

 

D'altro canto, per poter essere intelligente, una macchina di questo tipo deve innanzitutto funzionare ed occorre sviluppare una grandissima mole di lavoro per darle la possibilità di vivere in un ambiente reale. Questo significa costruire macchine con capacità di movimento e di intervento: gambe, ruote, pinne, eliche, che permettano loro di muoversi con precisione, e braccia meccaniche per compiere operazioni. Al tempo stesso, dobbiamo dare loro dei sensi per percepire l'ambiente: vista, udito, olfatto, tatto, ed altri che l'uomo non possiede.

 

Gli ingegneri che costruiscono robot devono quindi progettare sistemi di notevole complessità che comprendono parti meccaniche, elettriche, elettroniche. Tra questi, vi saranno apparati sensoriali complicatissimi che vanno da sistemi di visione artificiale a sistemi di percezione della gravità, del magnetismo terrestre e delle onde elettromagnetiche. Inoltre, dal punto di vista dell'automazione, i progettisti devono riuscire a gestire tutte queste unità come un insieme globale. Non si può pensare che un unico calcolatore, su cui gira un unico programma, possa svolgere tutti questi compiti diversi, tant'è che la tendenza è dotare queste macchine di sistemi distribuiti di controllo, con molte unità di intelligenza specializzate alla risoluzione di specifici problemi.

 

Progettare e gestire sistemi di questa complessità richiede metodologie nuove. Difatti, l'unione delle tecniche del controllo classico alle problematiche dell'intelligenza artificiale ha generato una branca specialistica chiamata controllo intelligente, che cerca di riunire in un'unica descrizione organica sia le funzioni di più basso livello, di controllo degli apparati della macchina, sia quelle di alto livello, simboliche e strategiche. Lo schema più comunemente utilizzato prevede una divisione del lavoro gerarchica a tre livelli. Il livello più basso, definito esecutivo, raccoglie tutte le attività di automazione e controllo degli impianti necessarie a far funzionare e sopravvivere il robot. Questo livello dev'essere quindi in grado di reagire istantaneamente agli stimoli dell'ambiente, pena la distruzione del robot stesso, il che richiede calcolatori di processo veloci, sincronizzati con la scansione interna delle funzioni vitali del robot.

Il livello più alto, organizzativo, gestisce la conoscenza e contiene quelle funzioni strategiche che nel sentire comune vengono di solito identificate con un'intelligenza di tipo umano. In pratica, questo livello organizza l'attività del robot mediante operazioni simboliche che, per loro natura, sono asincrone, il che significa che non si può prevedere se la risoluzione di un certo problema richiederà un secondo o un minuto.

Ecco perché è conveniente interporre tra questi due livelli, così diversi, un livello coordinativo che li colleghi sia da un punto di vista logico che fisico, scomponendo le strategie in tattiche e generando e gestendo le sequenze di operazioni affidate al livello esecutivo.

 

Da questo si comprende perché chi costruisce macchine intelligenti non possa fare a meno di seguire un approccio di tipo bottom-up, dal basso verso l'alto, in cui lo sviluppo della macchina avviene dal livello fisico, più basso, che corrisponde alle funzioni vitali, aggiungendo progressivamente strati che contengono funzioni superiori, ripercorrendo, in qualche misura, quella che pensiamo possa essere stata l'evoluzione naturale che, partendo da organismi semplici ha prodotto organismi sempre più complessi, dotati di funzioni sempre più sofisticate.

Tant'è che lo stato dell'arte attuale vede un gran numero di prototipi di avanguardia in cui però la maggior parte degli sforzi è ancora dedicata alla risoluzione dei problemi vegetativi di base della macchina. L'approccio bottom-up si ritrova nel modo di procedere del Robotlab che, partendo dallo sviluppo di prototipi in grado di operare nell'ambiente sottomarino, come Romeo, sta lavorando per aumentarne le funzioni di autonomia ed intelligenza.

 

Tornando alla missione di Milo, proviamo quindi a vedere come i problemi di movimento e percezione del livello esecutivo in realtà pongono notevoli problematiche al livello coordinativo intermedio. Come s'è detto, il mare è il regno dell'incertezza e non si può essere sicuri che i sistemi di misura siano sempre perfettamente funzionanti. Per questo motivo, in ogni istante il livello di coordinazione deve essere in grado di capire quali sono i sistemi sensoriali che forniscono le informazioni più attendibili, e scegliere la più appropriata tra le varie strategie di controllo previste. Se, per esempio, a causa di variazioni delle caratteristiche chimico fisiche dell'acqua, i sonar riducono la loro precisione, il sistema di coordinazione deve essere in grado di cambiare strategia di controllo. Oppure, se durante un docking basato su un preciso sistema di visione stereoscopico, un improvviso movimento solleva una nuvola di sedimento dal fondale e riduce la visibilità, il sistema di coordinazione deve essere immediatamente in grado di rinunciare alla precisione delle telecamere e garantire innanzitutto che non avvengano collisioni. In ogni caso questo livello deve fornire continuamente al livello organizzativo informazioni aggiornate sul fatto che la missione richiesta sia effettivamente completabile nel modo previsto o meno. Compiti di questo genere, che non coinvolgono ancora aspetti di intelligenza superiore, sono comunque già molto complessi e sofisticati e alla frontiera delle attuali capacità dei robot.

 

Per quanto riguarda il livello organizzativo, appare evidente, a questo punto, come l'intelligenza in esso contenuta dipenderà strettamente da come sono stati realizzati i livelli inferiori, e quindi dalla fisicità del robot, dalle sue capacità di interazione con l'ambiente e con altre entità intelligenti, biologiche o artificiali. Sulla natura dell'intelligenza stessa il dibattito è peraltro vivacissimo e si vede quindi come la Robotica sia una scienza nascente, dal paradigma non ancora ben definito, che si formerà nei prossimi decenni, raccogliendo contributi da varie scienze: meccanica, elettronica, informatica, intelligenza artificiale, ma anche dalle neuroscienze, dalle scienze cognitive, dall'etologia, dalla filosofia.

 

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